In sciopero della fame perché “Il welfare non è un lusso”

In ventuno a Napoli si nutrono solo di liquidi. Intervista a don Peppino Gambardella, parroco di Pomigliano d’Arco e presidente della cooperativa Irene 95: non ci sono più fondi. Tutta l’assistenza sociale è a rischio.
don peppino gambardella

«Perché sto facendo lo sciopero della fame? Perché Gianni, sposato con figli, deve lavorare anche di sera per andare avanti. Perché Salvatore, dopo aver comperato l’auto, adesso non ha i soldi pagarla. Perché Paola ha un mutuo, ma non può rispettare le scadenze dei pagamenti ed è disperata. Perché Rosa, la coordinatrice di una delle case famiglia, ha dato le dimissioni per andare a lavorare a Trento. Aspettiamo da due anni che il Comune paghi, per i nostri servizi, 400mila euro. Ora, con questa crisi, non si può più attendere».

 

Don Peppino Gambardella, 70 anni e un po’ di acciacchi, è parroco della chiesa di San Felice in Pincis, a Pomigliano d’Arco, e presidente della cooperativa Irene 95, con circa cento operatori e un bacino di utenza che raggiunge le trecento persone: disabili, ragazzi, anziani, famiglie. Dal 14 dicembre, insieme ad altri venti rappresentanti di organizzazioni del Terzo settore della Campania, ha avviato lo sciopero della fame: «Protestiamo per due motivi – dice –. A livello generale, per i tagli alle politiche sociali fatti, con la riduzione del 5 per mille, dal governo. A livello locale perché, dopo la riduzione dei finanziamenti di quest’anno, la Regione prevede un ulteriore diminuzione dei fondi pari al cinquanta per cento. Tutta l’assistenza sociale è a rischio». E i numeri sembrano confermarlo. In Campania, infatti, sono 630 mila gli anziani non autosufficienti, 156 mila i disabili, 46 mila i sofferenti psichici. Solo a Napoli, le famiglie povere sono più di 34mila, a livello regionale lo è una su quattro. Gli operatori che rischiano di perdere il posto sono circa 20mila, quelli che già sono stati licenziati sono mille, mentre i fondi complessivamente anticipati dalle cooperative ammontano a 500 milioni di euro.

 

Don Peppino, lei è sempre stato impegnato nel sociale, ma questa è davvero una misura drastica. Come mai uno sciopero della fame?

«Lo abbiamo deciso il 14 dicembre, nel corso di una grande manifestazione che si è svolta per le vie di Napoli. Sono intervenuti i rappresentanti di tutto il Terzo settore della Campania: circa 7 mila persone di 200 organizzazioni, tra consorzi e cooperative, tra cui anche Gesco, che fa parte della Lega delle coop. Noi eravamo presenti come Irene 95, una onlus che svolge attività sociali nell’area vesuviana. Abbiamo due case famiglia a Marigliano, un centro per le famiglie e per il recupero dei ragazzi e collaboriamo con numerose amministrazioni comunali per l’assistenza ai disabili, come a Sant’Anastasia, e agli anziani. Oltre alle due ragioni principali, protestiamo anche perché sono ormai due anni che non vengono effettuati i pagamenti e gli operatori non ce la fanno più. Sono già stati chiusi dei centri, come quello di psichiatria per i malati mentali di Scampìa, a Napoli, mentre un altro, il Leonardo Bianchi, è attualmente occupato. Per andare avanti, finora, abbiamo acceso mutui con diverse banche, ma così dobbiamo pagare gli interessi e anche le tasse, perché anche se non abbiamo ricevuto i fondi, allo Stato non interessa. Adesso che la liquidità è finita e non possiamo più fare debiti per pagare i collaboratori, non sappiamo come andare avanti».

 

Cosa chiedete per mettere fine alla protesta?

«Vogliamo solo sederci intorno ad un tavolo con i rappresentanti regionali e comunali. Quando avverrà, smetteremo. Al momento, ci nutriamo solo di liquidi: latte, acqua, succhi, e non è facile. Il prefetto sta cercando di organizzare un incontro per lunedì 20 dicembre, ma finché non si ritroveremo tutti insieme, non smetteremo, perché ormai delle promesse non ci fidiamo più».

 

Di cosa si occupa la sua cooperativa?

«Irene 95 è nata nel 1994 con il nome “Xenos”, che significa straniero, nell’ambito della Caritas della Campania per aiutare gli immigrati dei ghetti di Castel Volturno, nel casertano. L’anno seguente abbiamo fatto una scelta di impegno territoriale. Da Xenos, la cooperativa è stata ribattezzata Irene, che significa pace, 95. Noi lavoriamo nell’ambito del disagio sociale partendo dall’assunto che bisogna coinvolgere le famiglie di origine dei ragazzi, degli ammalati. Operiamo a rete, sul territorio, assicurando servizi di tutorato familiare, mettendo a disposizione tecnici e professionisti. Forniamo anche un sostegno alle piccole imprese, con collaborazione e accompagnamento. Per noi è importante promuovere la cultura della solidarietà, l’amore per gli ultimi, e lo facciamo operando in rete con altre cooperative. Purtroppo, la situazione è davvero grave: il sistema dell’assistenza sociale sta morendo, ma se si eliminano questi servizi, chi si prende cura delle tante persone in difficoltà che ci sono e delle loro famiglie? Abbiamo organizzato una veglia, in chiesa a Pomigliano, per riflettere e pregare insieme, per il 17 sera. Sarà anche un momento educativo, perché il cristianesimo non è solo culto e sensazioni interiori. Bisogna imparare ad aprirsi agli altri. Dio si trova nel fratello, soprattutto negli ultimi e nei bisognosi».

 

 


 

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