Ilva: non è più tempo di rinviare

Per rimediare al disastro ambientale servono oltre otto miliardi di euro. I magistrati sono alla ricerca dei fondi dei Riva, mentre il consiglio di amministrazione della società si è dimesso per protesta. Ancora una volta si teme per la perdita di migliaia di posti di lavoro
Manifestazione contro l'inquinamanto prodotto dall'Ilva
Otto miliardi e cento milioni di euro è la cifra stimata per bonificare l’Ilva di Taranto secondo  una perizia che i custodi giudiziari hanno consegnato alla Procura della Repubblica della città pugliese, che sta procedendo per perseguire diversi reati tra cui quello di associazione a delinquere finalizzata al disastro ambientale, avvelenamento di sostanze alimentari, omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro e altri capi di imputazione contestati ai vertici dell'Ilva.

Una legge del 2001, la numero 231, integrata nel 2011 sulle tematiche ambientali, estende alle persone giuridiche la responsabilità per reati commessi in Italia ed all’estero da persone fisiche che operano per la società, rendendo così possibile il sequestro di una somma equivalente all’ingiusto profitto procurato con la commissione del reato. In sostanza è un modo per andare a recuperare i soldi che si dovevano spendere, secondo la ricostruzione dei magistrati, per ridurre o abbattere la nocività della produzione industriale del polo siderurgico controllato dal gruppo Riva. Stavolta il giudice per le indagini preliminari non ha posto sotto sequestro una parte produttiva del gigantesco stabilimento, ma ha intenzionalmente preso di mira le proprietà della società Riva Fire, che possiede le leve finanziarie di controllo dell’Ilva di Taranto. Un’istanza orientata in tal senso era stata presentata in Procura dal leader nazionale dei Verdi e consigliere comunale a Taranto, Angelo Bonelli, lo scorso 30 novembre 2012. 

Lo spettro della chiusura
Secondo il presidente di Federacciai di Confindustria, Antonio Gozzi, saremmo davanti ad una violazione della certezza del diritto, mentre «il provvedimento assunto dalla magistratura di Taranto non può che andare nella direzione di voler costringere alla chiusura la nostra più importante impresa siderurgica, che ora si trova oggettivamente privata delle necessarie risorse finanziarie e della governance, nelle condizioni di dover interrompere il suo funzionamento». Con queste medesime motivazioni, il consiglio di amministrazione dell’Ilva, presidente Bruno Ferrante e amministratore delegato Enrico Bondi nominato da pochi giorni, si è dimesso in tronco il 24 maggio 2013 facendo scattare l’allarme di una chiusura imminente e traumatica della fabbrica. Finora i lavoratori e la città intera hanno vissuto in maniera civile e dignitosa il lungo periodo di tensione seguito all’inevitabile messa a nudo delle note contraddizioni che segnano l’intera politica economica, industriale e ambientale del Paese.

Bonifiche, soldi e nazionalizzazione
I miliardi di euro non saranno ovviamente immediatamente utilizzabili e sono ancora da rintracciare nell’intreccio societario del Gruppo Riva che è stato messo sotto inchiesta anche dalla Procura di Milano per i reati di frode fiscale, riciclaggio, intestazione fittizia e truffa ai danni dello Stato. L’ordine di sequestro, in questo caso, riguarda beni per un valore equivalente di un miliardo e 200 milioni euro che la Guardia di Finanza avrebbe rintracciato «nel paradiso fiscale di Jersey», un’isoletta, situata nello stretto della Manica, sotto protezione della corona britannica.

La nazionalizzazione del gruppo e dell’intero comparto siderurgico sembra perciò una prospettiva non più remota, ma invocata da più parti e sarà sul tavolo del governo Letta che ha parlato di «disastro occupazione senza precedenti». L’urgenza delle decisioni da prendere in tempi brevi, a cominciare dagli stipendi e salari di maggio per i 24 mila lavoratori coinvolti, 40 mila con l’indotto, non potrà rimuovere ancora per molto una rivalutazione e un'analisi dell’operazione compiuta nel 1995 con la privatizzazione dell’Italsider.

Nel frattempo una delegazione del comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti di Taranto, che ha organizzato un primo maggio alternativo nella Città dei due mari, si è incontrata a Berlino con operai e impiegati della fabbrica di Henningsdorf, sotto controllo dello stesso gruppo Riva, mettendo a tema la domanda: «Davvero bisogna lavorare a qualsiasi prezzo?».

La Germania precede l’Italia come prima produttrice di acciaio nel Vecchio Continente, dove la siderurgia fattura 170 miliardi di euro, con circa 360 mila posti di lavoro. Il livello delle scelte strategiche europee, infatti, davanti alle sfide dei temibili concorrenti coreani, cinesi e indiani, sarà quello che si rivelerà decisivo e meritevole di una conoscenza accessibile a tutti.          

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

Tonino Bello, la guerra e noi

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons