Il Sinodo e l’aratro

La posta in gioco non è la dottrina o la teologia, ma il vangelo stesso. Come sentirsi interpellati dalle sollecitazioni di un’umanità che esige l’affermarsi della cultura dell’incontro

Attendendo il sinodo, nella veglia in piazza san Pietro, il papa, citando un vescovo della chiesa di Oriente, ha sottolineato il primato dello Spirito, «senza il quale Dio è lontano, Cristo rimane nel passato, la chiesa diventa una semplice organizzazione, l’autorità si trasforma in dominio, la missione in propaganda, il culto in evocazione, l’agire dei cristiani in una morale».

 

Senza lo Spirito non c’è la famiglia di Dio, non c’è la famiglia di Nazareth, che papa Francesco riconosce nella testimonianza di Charles de Foucault: «Guardando alla famiglia di Nazareth, fratel Charles avvertì la sterilità della brama di ricchezza e di potere. Con l’apostolato della bontà si fece tutto a tutti; lui, attratto dalla vita eremitica, capì che non si cresce nell’amore di Dio evitando la servitù delle relazioni umane, perché è amando gli altri che si impara ad amare Dio; è curvandosi sul prossimo che ci si eleva a Dio. Attraverso la vicinanza fraterna e solidale ai più poveri e abbandonati egli comprese che alla fine sono proprio loro a evangelizzare noi, aiutandoci a crescere in umanità».

 

I poveri evangelizzano le famiglie perché le chiamano a vivere fino in fondo l’incarnazione del Signore. Prima della famiglia di Nazareth, le famiglie incontrano la famiglia di Betlemme e dopo la famiglia del Calvario.

 

A Betlemme il segno povero della mangiatoia e un bambino lì deposto. Tutto sigillato dalla strage dei bambini innocenti per arrivare ad uccidere Gesù. Una immagine che oggi vediamo in molti luoghi, là dove le famiglie e i bambini sono violati e uno scialo di morte abbraccia il mondo.

 

Nazareth è il nascondimento, è il vivere da poveri con i poveri, senza nessuna ambizione se non quella di condividere la vita con i propri genitori e con tutti nella profondità e nella durezza della vita quotidiana.

 

Infine la famiglia del Calvario. In Giovanni la famiglia che si fa chiesa: «Donna ecco tuo figlio e figlio ecco tua madre». Queste sono le parole di Gesù che pongono la casa del Signore e della sua famiglia presso la croce.

 

Papa Francesco ci chiama a celebrare questo evento del Signore innanzi tutto nella penitenza e nella conversione, sapendo che lo Spirito ci guida alla verità tutta intera e ci ammaestra di fronte al patire dei poveri, in una comprensione progressiva del mistero del vangelo.

 

Noi diciamo come un ritornello la parola di Gesù: «L’uomo non separi ciò che Dio ha unito», mentre la vera questione è che Dio separa molte volte quello che egli stesso ha unito. Non bastano formule e precetti, che poi sono sempre stretti rispetto alla sfida che le persine vivono.

 

In piazza san Pietro sono rimasti largamente assenti quelli che Dio ha separato dopo averli egli stesso unito, i vedovi; ma anche gli abbandonati, i contraddetti, i mai accolti, coloro che non hanno dignità, gli scarti per l’appunto, come li chiama papa Francesco. E dunque proprio perchè scartati sono fuori dalla logica dell’incontro e dell’amore.

 

Non mi vergogno a dire che sono disabile poliomielitico da quando avevo undici mesi e oggi ho settantuno anni. Sono vedovo: mia moglie è morta tredici anni fa. Sono vissuto più con la mia malattia che con mia moglie. Ho una figlia in monastero. Mi sarebbe piaciuto vedere in quella piazza e in quella chiesa qualche coppia di disabili in carrozzina, perché è possibile amare in qualunque condizione e per sempre. La vera discussione non è tra permissivi e rigoristi, tra conservatori e progressisti, ma se davvero la forza dell’amore può custodire la nostra vita fino alla fine. Il problema non è vivere per sempre, ma amare per sempre.

 

Penso a Donatella, malata di Sla e donna luminosa, e al suo compagno Stefano. Non so se avrebbero gradito stare in quella piazza e in quella chiesa, ma sono la testimonianza limpida che l’amore è più forte della morte. Ecco i poveri che evangelizzano, di cui parlava papa Francesco.

 

Ecco lo sguardo di Dio sull’amore e sul patire. Solo una chiesa penitente, che vuole comprendere sempre meglio l’evangelo, sta in ginocchio, non ha pretese se non quella di condividere il dolore e l’amore di tutti, può invocare da Dio il suo sguardo di compassione, può umilmente bussare alla porta dei poveri e dei sofferenti ed essere accolta alle grandi nozze dell’agnello.

 

Si parla molto dell’unità della famiglia. La mia è un pò sgangherata: mia moglie sta in paradiso, mia figlia sta in monastero in Sicilia ed io vivo a Lucca. Da molti punti di vista non siamo esemplari, ma non credo che Dio stia a guardare i dettagli.

 

Oggi la chiesa in Sinodo vive il tempo della grazia e non dell’astuzia politica; del servizio e non del potere, dell’essere amata dai poveri e non cercata dei potenti. Ci sono coloro che vorrebbero che si voltasse indietro per rimanere pietrificata, ma papa Francesco indica con fermezza la via del vangelo, la via crucis, come via lucis, via amoris e via pacis. Davvero il vangelo urge.

 

Non sarà qualche cardinale pieno di passato a impedire di passare all’altra riva, perché la posta in gioco non è la dottrina o la teologia, ma il vangelo stesso E chi ha posto mano all’aratro non torna e non si volta indietro.

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