Il siciliano che raccontò la Sardegna

de seta

Aveva raccontato la realtà della Sardegna interna nel modo in cui i sardi amano parlare delle loro cose: con schiettezza e senza lenti ideologiche. Vittorio de Seta, regista e sceneggiatore, scomparso lo scorso 28 novembre all’età di 88 anni, nel 2008 aveva ricevuto la cittadinanza onoraria ad Orgosolo, il centro del nuorese tristemente noto per il banditismo, fenomeno che fino agli anni Ottanta flagellava l’interno dell’Isola.

 

Il suo film del 1961, Banditi ad Orgosolo, la cui sceneggiatura era stata scritta dalla moglie Vera Gherarducci, arrivava dopo due lungometraggi Un giorno in Barbagia e Pastori ad Orgosolo. Una pellicola che è stata una vera e propria lezione di neorealismo, senza alcuna finalità se non quella del racconto. Il regista aveva soggiornato per alcuni giorni in Barbagia, addentrandosi come osservatore estraneo nella vita di Orgosolo: qui aveva visto le divisioni fra le classi sociali, tra chi si dedicava alla pastorizia ma era costretto a pagare salati affitti per i pascoli e chi, possidente di grosse estensioni di terreno, dava in affitto quelle terre per riscuotere poi gli importi dovuti. La storia raccontata da De Seta narra di un pastore, Michele, sospettato di abigeato e dell’uccisione di un carabiniere. Innocente, non pensa però di costituirsi o di far emergere quanto realmente accaduto. Sceglie di darsi alla latitanza in compagnia del fratello minorenne, perdendo presto tutto il suo gregge. Gli eventi e la disperazione lo portano quindi a trasformarsi a sua volta, da vittima di un’ingiustizia a bandito vero e proprio.

 

Siciliano di origine, cresciuto in Calabria, De Seta ha vissuto per buona parte della vita a Roma, ma aveva uno stretto legame con la Sardegna e soprattutto con Orgosolo. Quando gli venne annunciata la cittadinanza onoraria la accettò, ritornando con piacere, accolto dalla gente che lo salutava per strada, con quel garbo e quella misura che contraddistingue la gente sarda, una prassi a lui nota per averla raccontata nel film: un lavoro asciutto, come un pezzo di giornalismo, senza tanti aggettivi ma essenziale. Il riconoscimento ottenuto a Venezia nel 1961 con il Leone d’Oro, come opera prima, ed il successivo Nastro d’Argento per la migliore fotografia, erano stati la conferma della bontà del lavoro di De Seta, un uomo che gli orgolesi sentivano uno di loro, proprio per esser stato capace di mostrare una realtà, a molti incomprensibile, fatta di uomini e donne che vivevano in quella dimensione così particolare, senza volerne dare chissà quale lezione sociologica.

 

L’ultima opera, di De Seta è datata 2006. Si tratta di un lungometraggio Lettere dal Sahara, nel quale il regista racconta la vita di un migrante africano in Italia, pellicola presentata fuori concorso al Festival di Venezia.

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