Il presepe vivo

Una famiglia inscena la rappresentazione sacra coinvolgendo amici e parenti con insospettabili risvolti.
Presepe vivente

"Perché quest’anno non facciamo qualcosa di originale per Natale? Che ne pensa di un presepio vivente? Con persone reali che rappresentano i vari personaggi?”, propone la signora Clotilde a padre Matheus, che seduto sul vecchio divano di casa, sta prendendo quel caffè aromatico, che in tutta la comunità, solo lei sa fare, accompagnandolo col “pão de queijo” dell’amica Elena, accomodata su una sedia accanto a lui. Padre Matheus allontana per un momento la tazzina dalle labbra e respira lentamente: “Un presepio vivente?”. Le due donne puntano gli occhi sulle sue labbra, aspettando con trepidazione la risposta. Anche il signor Roberto, marito di Clotilde, smette di giocare col cane e guarda il sacerdote. Il cane, avvolto dalla calda atmosfera, resta tranquillo con il muso incollato al pavimento.

Il silenzio copre alcuni secondi: l’aria resta immobile. “Ma come riusciremo?”, domanda padre Matheus immaginandosi rapidamente una serie di difficoltà: quali personaggi, dove realizzare, quando e come reagirà la gente? Clotilde, con la sua naturale perspicacia, intuisce quei dubbi e suggerisce: “C’è abbastanza tempo, parliamone con altri e tutto si risolverà”. La nube nella testa del sacerdote si apre: “Va bene, parliamone domenica, dopo la Messa”.

Nei quattro giorni seguenti la radio comunità funziona su tutte le onde: Clotilde ed Elena contattano le persone più impegnate e creative, spiegano il progetto, invitano e convincono. Dopo la Messa della domenica si fermano più di trenta persone incuriosite, ma anche con la voglia di darsi da fare e con idee per realizzare non uno, ma trenta presepi. Non è facile per Clotilde farli sedere tutti e ascoltare chi parla. Il punto centrale di interesse è la scelta di coloro che dovranno fare la parte dei personaggi. Le parti più ambite sono Maria e Giuseppe. Nipoti, figlie, amiche delle amiche sono indicate come Maria; per Giuseppe le proposte indicano le migliori barbe del quartiere, includendo perfino persone che non frequentano normalmente la chiesa. Per Gesù Bambino bisognerà scegliere fra tre neonati: la nipote di Conceção, la nonna della comunità, il figlio di Raul e Claudete, che si sono sposati l’anno scorso, e l’ultimo dei 23 nipoti di Erminio e Hilza, che è nato a settembre in Pernambuco e un mese dopo i genitori sono emigrati a São Paulo col bambino.

Padre Matheus non si sarebbe aspettato tanta partecipazione e ascolta, ammirando con viva gioia, l’entusiasmo scomposto dei suoi fedeli. Lascia il coordinamento della riunione nelle mani di Clotilde, conosciuta per la sua capacità di leader, anche se deve far ricorso a tutte le sue arti diplomatiche per contenere entro i limiti le onde della creatività. Ognuno vuole accaparrarsi la parte più prestigiosa e non è disposto a rinunciare a favore di un altro candidato. Il clima si surriscalda, la vanità personale e familiare mostra le sue pretese senza maschere e si giunge a un punto morto. A quel punto padre Matheus decide di intervenire e con il suo tipico tono amorevole li redarguisce: “Gente, abbiamo cominciato così bene e ora siamo arrivati a questo punto? Come è possibile che il Natale sia motivo di divisione? Che testimonianza daremo alla comunità e alle persone del quartiere? Saremmo capaci di uscire da qui seminando fra gli altri il nostro malessere?”. Silenzio. Le quattro domande cadono come pietre sulla testa dei presenti. Sono tutte persone buone, che desiderano vivere il Vangelo e servire gli altri. I loro sguardi, prima accesi dal fuoco dell’orgoglio, si incrociano timidamente e ognuno di loro torna ad essere per l’altro, l’amico, l’amica e il fratello di comunità.

“Riflettiamo di più fra noi”, suggerisce João, il direttore del coro. “La prossima settimana ci incontreremo nelle nostre case e parleremo”, concretizza la catechista Maddalena. Tutti sono d’accordo e padre Matheus conclude: “Domenica di nuovo qui, dopo la Messa, ma con un’altra disposizione!”.

Le case, nelle sere successive si aprono come mai prima: caffè, bibite, dolcetti e torte fatte in casa accompagnano conversazioni animate e allegre con proposte che si incrociano e si arricchiscono della partecipazione di tutti, in particolare degli uomini, normalmente ingarbugliati nei bar in dialoghi interminabili innaffiati dalla birra. Le notizie arrivano all’orecchio di padre Matheus, che nelle sue preghiere segrete ringrazia Dio di aver mandato quell’ispirazione a donna Clotilde e di avergli dato la forza dello Spirito Santo al momento di fare le famose quattro domande, che domenica hanno rovesciato la situazione.

La seconda riunione è completamente diversa e la scelta dei candidati per i vari ruoli avviene nella massima tranquillità. Il nipotino di Conceição sarà Gesù Bambino, gli occhi azzurri di Keila conquistano all’unanimità il ruolo di Maria, la barba rossiccia di Edgar lo identifica con Giuseppe. Meno difficoltà ancora per i pastori e i Re Magi. La mucca di Zezinho (in mancanza di un bue) e l’asinello di Claudinei avranno l’onore di sdraiarsi a fianco del Figlio di Dio.

Resta solo da trovare dove farlo. Sergio sostiene che non sia rispettoso portare due animali di quella grandezza all’interno della Chiesa. Così, dopo uno scambio rapido di idee, si arriva alla scelta dell’angolo del bar di Jenifer, che è il luogo più ampio e di maggiore passaggio del quartiere. Clotilde, sempre ispirata, commenta: “Così tutti vedranno e la gente riceverà il messaggio di Natale”. Un applauso accompagna le parole. Quando? Il presepio vivo sarà rappresentato tre volte: la notte di Natale dopo la Messa di mezzanotte, il pomeriggio dell’ultimo dell’anno e dell’Epifania. “E ora al lavoro”, conclude padre Matheus.

Il lavoro non manca: il gruppo delle madri si offre di confezionare i costumi, il testo della rappresentazione viene affidato ai giovani e il coro preparerà alcuni canti natalizi tradizionali, scelti per i momenti più importanti. È necessario ottenere l’autorizzazione della polizia prima di mettere il scena il presepe vivente e se ne incaricano Mario e Marta, che sono amici del delegato. Le catechiste, con l’aiuto dei bambini, penseranno a far divulgare la notizia, disegnando cartelli e consegnando inviti alle famiglie.

Arriva la notte del 24. La chiesa è strapiena, tutto procede nel modo migliore, le cerimonie, i canti, la poesia dei bambini, ma nell’aria si aggira qualcosa di impalpabile, un nervosismo, un’aspettativa che diminuisce la concentrazione. Padre Matheus percepisce e nell’omelia interpreta la sensazione: “In questo Natale abbiamo una novità, lo sappiamo tutti: è il presepio vivo che la comunità ha preparato. Non è un teatro, ma la rappresentazione dell’avvenimento che stiamo celebrando ora in questa messa. È qui che Gesù rinasce fra noi, vivo, è qui che avviene il vero incontro con lui. Il presepio ci aiuterà a fissare nei nostri sensi e nel nostro cuore il dono di un Dio che diventa uno di noi”.

Terminata la Messa, la corrente dei fedeli si precipita verso l’angolo di Jenifer: davanti i bambini, che sono usciti prima della benedizione finale, incalzati da vicino dai giovani. Uno di loro, Jaime, aspetta Vitalina, che non può correre per l’asma. Ma lo spazio migliore è stato già occupato da chi non è andato alla Messa, e per questo è arrivato prima. I bambini e ragazzi non hanno problemi, si infilano attraverso le gambe degli adulti e conquistano i posti migliori. Per fortuna il terreno ha una lieve inclinazione proprio sul lato opposto della rappresentazione, così che gli ultimi si vengono a trovare su un livello più alto e possono avere una visione anche migliore.

Improvvisamente si odono i ragli di un asino: è quello di Claudinei, che si è impuntato e non vuole continuare. La gente si spaventa. Il padrone tenta di convincerlo con tutte le risorse della sua esperienza, ma niente! Si apre la porta di una casa e appare Silene con alcune carote: l’animale segue l’oggetto del suo desiderio e arriva tranquillo al suo posto. Era l’ultimo attore atteso. Si può cominciare.

La voce vellutata di Celina esce da una casa, dalla finestra aperta. È un canto natalizio antico, che solo i più anziani riconoscono, ma che avvolge tutti come un volo di angeli.

Alcuni si girano per vedere da dove viene, ma la maggioranza resta immobile, lasciano parlare la musica. Entra Giuseppe con Maria, un faro azzurro illumina i loro volti. I lineamenti abitualmente duri di Edgar appaiono dolci, il suo sguardo si posa tenero su Keila, che sta al suo fianco, e la cinge delicatamente col braccio destro. Gli occhi di molti, compresi gli uomini, cominciano a inumidirsi, il cuore del fidanzato di Keila batte più rapido e la moglie di Edgar stringe con forza la figlia più piccola che porta in braccio. L’asino, che Edgar tiene con una corda con la sinistra, lo segue docile.

I due entrano in una grotta di cartone. In un angolo, vicino a un mucchio di fieno, la mucca di Zezinho sta cominciando ad attaccare quel cibo delizioso; il padrone, vestito da pastore, tenta continuamente di allontanarla. Maria e Giuseppe si siedono per terra e alcune ragazze del coro in vesti bianche e ali dorate chiudono l’entrata della grotta e intonano il Gloria. In questo momento, attraverso una fessura nel cartone, la figlia di donna Conceição passa il piccolo a Keila, che lo adagia nel fieno. Il gruppo degli angeli si apre e – ooohhhhh – gli occhi di tutti contemplano Gesù Bambino.

Si fanno avanti i pastori, adulti e bambini, offrendo a Giuseppe i loro poveri doni: pane, latte, formaggio, e panni. Maria presenta il bambino a ognuno, lo prendono in braccio con affetto e l’ultimo lo mostra ai presenti. L’emozione raggiunge il culmine e le lacrime scorrono senza controllo. Il coro intona “Astro del ciel” e tutti lo accompagnano.

Durante la rappresentazione, una coppia giovane con un bambino è entrata dalla sinistra dell’angolo, in fondo. Nessuno li ha notati, tanto l’attenzione di tutti è presa da ciò che si svolge davanti a loro. I tre si fermano timidi, guardando alternativamente la rappresentazione e il pubblico; ogni tanto guardano se stessi. I loro vestiti sono poveri, portano tre borse e alcuni sacchi di plastica, che sembrano essere tutto ciò che possiedono.

Cinque minuti dopo entra vicino a loro Lázaro, il robivecchi, tirando il carretto, accompagnato da Lulù, il suo inseparabile cane. Il suo cuore è allegro, oggi ha messo insieme una buona somma, ha raccolto molte lattine di bibite e birra – che scorre abbondante in questo periodo – e il compratore è stato generoso: “Ti faccio un prezzo da Natale”. Ha fatto acquisti come non poteva da anni: riso, fagioli, pollo, pomodori, panettone, sei lattine di birra, spumante e una grappa di Minas. Il macellaio gli ha regalato un pacco di resti di carne per Lulù. Guarda con meraviglia la rappresentazione – non ne sapeva nulla, lui è sempre in giro – si lascia coinvolgere dai movimenti degli attori e dalle musiche. Pensa quando, in Minas, era chierichetto e nella messa di mezzanotte portava il turibolo con l’incenso che lo faceva tossire; quando ha dovuto fuggire dalla sua terra, per aver infilzato un coltello nella pancia di Jocemir, che gli aveva rubato la sua Celeste; i lunghi anni felici con la Joelma, sulla strada, ma sempre insieme.

Il lamento flebile del bambino lo ridesta dai ricordi e si accorge dei tre. Li osserva con interesse, in silenzio. “Buonanotte”, gli sussurra dolce la donna. “… Buona… notte” risponde lui e il suo sguardo acquista calore. “Non vi conosco”. “Veniamo da Minas”, spiega l’uomo. “Lavoravo in campagna, ma il padrone mi ha mandato via. Siamo rimasti senza casa, senza niente”. “E ora?”, domanda Lázaro, incuriosito per aver incontrato gente della sua terra. “Non so”, risponde il giovane. “Siamo appena arrivati dalla stazione dei pullman”. “Non avete un posto dove andare?”. “Abbiamo preso il primo pullman e siamo finiti qui”. Lázaro si gratta la testa, guarda Lulù che pare abbia capito tutto, gli acquisti nel carretto, i tre che sembrano non aspettare niente. Rompe il lungo silenzio: “Andiamo nella mia baracca”.

Lulù corre davanti allegro, sente che ci sarà da mangiare, Lázaro mette nel carretto i bagagli degli ospiti, che lo seguono increduli. Il percorso è breve. Soltanto l’ultima parte della strada sterrata sale ripida, ma Lázaro è abituato, il giovane aiuta la donna con il figlio in braccio. La baracca è pulita, Lázaro è una persona educata, i due lo guardano con riconoscenza, senza parole. “Volete mangiare? Ho fatto la spesa!”, offre loro il padrone di casa. “Più che fame abbiamo sonno”, risponde il giovane. “Il bambino ha bisogno di latte, non ne abbiamo più”, suggerisce la donna. “Anch’io non ho fame. Il pranzo di Natale lo faremo domani”, decide Lázaro. “Ma una birra non può mancare. Prima però preoccupiamoci della persona più importante”. Accende il gas, apre una busta di latte e lo mette a scaldare in un pentolino, la madre controlla. Poi apre due lattine di birra, siede col giovane e bevono. Il bambino sorbisce con soddisfazione il latte in braccio alla mamma.

“Strano, non ci siamo nemmeno detti i nostri nomi, io sono Lázaro”. “Io José e mia moglie Maria”. E il bambino?”. “Emanuel”. Làzaro guarda profondamente i tre: un brivido gli percorre tutto il corpo. Reagisce subito: “Voi tre andate in quel letto che è matrimoniale. Io mi sistemo nel sofà nell’angolo: è grande e vi ho già dormito molte volte”. José e Maria obbediscono senza obiezioni: la stanchezza vince tutto. Emanuel, che già si era addormentato, è sistemato in mezzo a loro due.

Cinque minuti dopo tutti stanno nelle braccia accoglienti del sonno. Solo Lulù si muove, passando inquieto dal sofà al letto. Alla fine decide: salta sul letto e si stende ai piedi di Emanuel.

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