Il Movimento 5 stelle a Circo Massimo

A Roma i grillini manifestano contro il Jobs Act di Renzi e lo “Sblocca Italia”, ponendo la priorità per il reddito minimo garantito, il taglio delle pensioni d’oro e l’abolizione dell’Irap alle micro imprese
Peppe Grillo

Si apre con un mea culpa del leader la tre giorni del Movimento 5 Stelle al Circo Massimo di Roma. Dal palco Beppe Grillo ammette: «Quando ho incontrato Renzi, perché mi avete obbligato, ho agito male, d'istinto. Adesso lo prenderei per la testa e gli direi: “Matteo, fai presto a distruggere il Paese, sii più veloce. Sei lento, abbiamo bisogno di uno shock”». L’augurio di un fallimento che avrebbe facilitato l’ascesa dei grillini, ma anche, forse, tra le righe, la consapevolezza che almeno in alcune occasioni un approccio più costruttivo avrebbe pagato di più, anche in termini di consenso. Commenta Alessandro Di Battista, deputato 5 stelle fra i più popolari: «Quello che Beppe ha detto gli fa onore. Tutti facciamo cose ottime ma anche errori, ci si migliora nel tempo».

 Fatto sta che la platea applaude, e lo fa anche quando Grillo attacca il Jobs Act di Matteo Renzi e i "finti amici della sinistra". Ma l’eco non arriva lontano, forse perché le presenze sono al di sotto delle aspettative: solo quattromila persone, è la stima degli organizzatori. Un mezzo flop, dice qualcuno, anche se i numeri veri si conteranno alla fine, perché le giornate clou sono quelle di oggi e di domani, quando sono previsti gli interventi dei “big” del Movimento, oltre a Di Battista, fra gli altri anche Luigi Di Maio, vicepresidente della Camera – secondo alcuni pupillo e possibile erede di Grillo – Roberto Fico, Paola Taverna e Giovanni Endrizzi.

Numeri scarsi dunque, ieri sera, ma coinvolgimento degno di nota. I parlamentari sono in piazza, anche quelli europei, si muovono fra i 199 gazebo allestiti per l’occasione, parlano con la gente e rispondono – volentieri, è il caso di dirlo – alle domande dei giornalisti.

Il tema caldo – lo ha ricordato Grillo dal palco – è quello del Jobs Act. Per Luigi Di Maio «si migliora cercando di creare più tutele per chi attualmente ha un lavoro, e poi uscendo dalla logica che più precarizzi più crei lavoro in questo momento». E su come si crea lavoro, Di Maio ha le idee chiare: «Per noi creare lavoro significa sfruttare le criticità dell’Italia, per esempio la messa in sicurezza del territorio e investire per il risanamento. Se risani hai più operai da far lavorare. (…) Il governo intende prendere gas dall’Azerbaijan. Noi invece abbiamo bisogno di sfruttare l’86 per cento del territorio italiano che è fatto di geotermia. Se utilizziamo le risorse che abbiamo, diamo più lavoro alle nostre piccole e medie imprese perché chi montava condizionatori poi monta geotermico e comincia a riprendersi. Inoltre va ristrutturata l’edilizia privata e pubblica. In parte possiamo rilanciare e riconvertire quello che sta morendo. La Tyssen di Terni in questo momento è una vertenza importante: l’azienda produce acciaio inox di qualità, molto interessante per il mercato del prossimo futuro, eppure i tedeschi stanno scappando perché vogliono portare tutte le produzioni in Germania. Qui il governo sbaglia perché potrebbe intervenire con il fondo strategico italiano e rilevare l’azienda. Fu una idea di Tremonti, una delle poche cose buone che ha fatto».

Il vicepresidente della Camera dice la sua anche sulla capacità del governo di ottenere maggiore flessibilità in Europa: «Quella di Renzi in Europa è stata solo una pantomima. Da qui dice che è contro la Merkel, quando va lì si toglie il cappello e dice “obbediamo agli ordini”. Questa è stata la dicotomia mediatica che hanno creato in questi mesi: Renzi nei fatti non solo si attiene al vincolo del 3 per cento che ci affossa, ma ci massacra perché sta facendo gli interessi della Germania e non dell’Italia. Ci siamo chiesti perché questo Jobs Act piace solo a Draghi e alla Merkel?».

Non meno duro è il deputato Alessandro Di Battista, che conferma che la tre giorni capitolina è l’occasione per rilanciare un’opposizione dura al governo: «Le nostre proposte sono condivise dai 9 milioni di italiani che ci hanno votato, ma quelle che siamo riusciti a far approvare le abbiamo ottenute solo grazie all’ostruzionismo e non al dialogo e al buon senso dei partiti, convincendoli a parole. Ci siamo resi conto che o le ascoltano con le buone o dovranno ascoltarle con le cattive, ovvero con strumenti parlamentari regolari, come l’ostruzionismo».

Sugli obiettivi di questa “battaglia” Di Battista spiega che nel mirino dei 5 stelle c’è «in primis lo “Sblocca Italia” che prevede la privatizzazione dell’acqua, contro i risultati del referendum, prevede il sostegno alle trivellazioni in Basilicata e non solo, e prevede inceneritori e discariche, mentre secondo noi questo sistema di smaltimento dei rifiuti porta il cancro».

Sotto il profilo economico invece le priorità partono dalla tutela dei ceti più deboli, si cui non è esclusa però una convergenza col governo: «Il reddito minimo garantito, ovvero il reddito di cittadinanza, consentirebbe ai cittadini di spendere quei quattrini e rimettere liquidità sul mercato. Qualora Renzi portasse in aula il reddito di cittadinanza, noi lo voteremo, ma al momento il Jobs Act è una delega in bianco, e Renzi non lo farà perché sta con i banchieri».

Poi è la volta di tasse e pensioni: «La seconda priorità che noi abbiamo portato in aula ma è stata bocciata dal Pd – polemizza Di Battista – è il taglio delle pensioni d’oro e l’aumento delle minime. La terza è l’abolizione dell’Irap alle micro imprese che sono circa il 94 per cento delle imprese presenti in Italia, quelle che hanno meno di dieci dipendenti e rappresentano il tessuto economico e il paracadute sociale del nostro Paese». Anche qui l’incognita resta quella dei fondi per finanziare questi interventi, ma il deputato grillino non sembra preoccupato: «I soldi si trovano nel risparmio sulle spese militari, nel taglio dei costi della politica, nello stop al finanziamento pubblico ai partiti e all’editoria, nell’innalzamento delle tasse sul gioco d’azzardo, anche su quello online, e delle tasse sulle rendite da speculazione finanziaria». Quindi rilancia uno dei cavalli di battaglia del Movimento: «Dalle piccole cose si ottengono grandi risultati. Noi tutti ci siamo tagliati lo stipendio, io ho restituito in un anno e mezzo 87 mila euro: abbiamo calcolato che se tutti i parlamentari facessero quello che abbiamo fatto noi in un anno si otterrebbero risparmi per 304 milioni di euro. Il governo nell’ultimo anno non ha trovato 48 milioni di euro per gli alluvionati della Sardegna. I soldi ci sono o vengono buttati o spesi male, o, è la verità, se li rubano».

Sotto il cielo del Circo Massimo, tra canzoni, degustazioni e interventi al vetriolo, si sgonfia anche il caso Messora, che guida il gruppo comunicazione a supporto dei 5 stelle a Strasburgo che sta per essere sciolto. Frizioni con i parlamentari, divergenze sulla linea di comunicazione, si era detto. Ma da Roma chiarisce uno degli assistenti dei parlamentari UE: «Dopo tre mesi di mandato si sta valutando l’organizzazione della squadra per capire se il team è adeguato in termini numerici, di inquadramento e di funzioni, alle esigenze della delegazione, che sono molto diverse rispetto a quelle del parlamento italiano. Non è tanto una questione di costi ma di necessità, la delegazione sta operando una riorganizzazione, le vicende personali vanno gestite a livello personale».

Fra i fattori di tensione in questa kermesse capitolina resta la questione, mai risolta, dei dissidenti interni. Per il momento prevale la linea consueta della marginalizzazione: il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, in più occasioni in contrasto con la linea ufficiale del Movimento, non prenderà la parola sul palco, estromesso dalla lista degli interventi. Sarà però tra la gente, e il termometro dell’accoglienza che gli verrà riservata la dirà lunga sugli umori dei militanti. Ne verranno forse indicazioni per il futuro.

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