Il motore della vita

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Una recente ricerca scientifica americana ha fatto una scoperta singolare. Essa sembra poter spiegare quella sensazione unica che fa avvertire nel figlio qualcosa che è proprio della madre e viceversa. Si tratta di un fenomeno cui è stato dato il nome di microchimerismo, nel senso mitico di mescolanza biologica. In pratica, durante la gravidanza, alcune cellule delle madre si trasferiscono nel feto e alcune cellule del feto possono migrare e vivere nell’organismo materno. Così, i figli portano per sempre con sé le tracce materne. Parallelamente le madri, conservano nel sangue quelle dei figli. Siccome molte delle cellule che trapassano la placenta sono staminali embrionali, potenzialmente sono in grado di proteggere la madre nel caso di infezioni o lesioni, anche anni dopo il concepimento e la gravidanza. È come se – spiega la dott.ssa Judith Hall, della University of British Columbia, nonché autrice dello studio – queste cellule venissero chiamate in causa in periodi di grande stress o di scarsa salute. È come se i figli aiutassero le loro madri dall’interno. Che singolari storie racconta la scienza – commenta Marina Corradi sul quotidiano Avvenire – quando si inoltra a guardare in fondo al segreto del corpo umano. Nei nove mesi di cantiere alacre in cui si fabbrica un uomo, non solo si costruisce una nuova creatura; c’è nel frattempo, silenzioso, uno scambio. Che la madre resti nel figlio, dice la scienza, è possibile. Ma che il figlio lasci traccia nella madre è certo. Lascerai tuo padre e tua madre, ci è stato detto. Da grandi occorre andare. Di certo però lei non dimentica; lei rimane madre per sempre. Le madri del resto lo hanno sempre saputo. Non c’era bisogno di trovare quelle 61 cellule di sangue fetale su un milione, per dimostrarlo. Però, ecco, quel grappolo di cellule, un grappolo per figlio (anche per ogni figlio perso prima di nascere, specificano gli studiosi) sono lì, come un marchio nel sangue”. La segnalazione di queste ricerche ci è arrivata da Ezio Aceti, lo psicologo e pedagogista che i nostri lettori ben conoscono. L’abbiamo intervistato in proposito. Che significato attribuisce ai primi frutti di questa ricerca? Che il nato è in grado di relazionarsi sin dalla nascita. Cioè, non è una figura passiva dipendente dalla madre: la capacità intersoggettiva sembra comparire nel neonato prima dei sette-nove mesi, quando mostra esplicitamente di ricercare una deliberata e intenzionale partecipazione ad esperienze concernenti eventi e oggetti. Sono gli studi di Trevarthen e Hubley del 1978. Il grande rilievo che l’intersoggettività assume sul piano evolutivo, spinge a ritenere tale attitudine una capacità umana innata, anche se in forma arcaica. Il bambino sembra nascere con un altro virtuale nella mente, che gli permette di entrare in relazione con un altro reale, come dice Braten. In pratica? In pratica egli è in grado di stabilire sin dalla nascita una relazione con la madre o un’altra figura di riferimento, grazie ad una sorta di matrice dialogica. Come tra il sé e l’altro, tra l’individuo e la società, anche tra il bambino e la madre si delinea una dimensione terza che è la relazione di reciprocità. Essa è un terzo elemento che offre quell’oriz- zonte ermeneutico senza il quale l’esperienza dei due soggetti in dialogo non possono essere compresi. Già nel 1994 Gill e Ogden, senza queste conferme dalla medicina immunologica, l’avevano previsto. Quindi nell’avventura della vita, madre e bambino, amandosi, realizzano il senso del loro esistere: divengono costruttori di un dialogo di reciprocità che va oltre i due. Proprio così. Un mio collega ha fatto una piccola ricerca sperimentale. Ha raccolto le risposte di alcuni bambini, dai quattro agli otto anni, riguardo all’amore. Esse fanno sorridere e riflettere insieme, rivelando un percorso esperienziale semplice e vero, umano e giocoso. I lettori possono averne un saggio nel box in queste pagine. Nonostante la giovane età, hanno saputo cogliere l’essenza dell’amore. Esso è una realtà che ha a che a fare con ciascuno di noi. Non occorrono quindi definizioni per raccontarlo. Ma in fin dei conti, cos’è scientificamente l’amore? Dizionari di discipline diverse concordano nel dire che è il motore della vita. Infatti l’amore dà il senso, la direzione, la logica, la vita e il nutrimento indispensabile per l’esistenza. Conoscendolo, penetra nel nostro intimo in maniera indelebile, e si rimane coinvolti per sempre. In quali termini? E, innanzitutto, come si realizza la conoscenza dell’amore? A partire dal concepimento, il bambino inizia il percorso evolutivo. Attraverso il rapporto con gli altri e col mondo, prende coscienza di sé, fino a raggiungere la piena autonomia e maturità. Il processo di maturazione è scandito da un susseguirsi di tappe. La conquista di stadi evolutivi più avanzati comporta la necessaria perdita di quelli precedenti. Ogni passaggio è delicato, ma avviene in maniera naturale, se le condizioni di vita del bambino sono sane. Che significa? Che occorre una determinata energia psichica che garantisca lo sviluppo del bambino in modo pieno e completo. Essa è l’amore. Senza quello, la crescita si blocca o avviene con ansia e frustrazione. Essa potrà riprendere, mediante cure appropriate. Cioè, se il bambino riceve cura: accoglienza, disponibilità, interesse. In poche parole, amore. Vale a dire, che bisogna fargli fare esperienza dell’amore al bambino? Esatto. La protezione materna e paterna, consente al piccolo di sperimentare l’amore. Ciò si verifica attraverso gli organi di senso (vedi nel box le frasi di Martina, Carlo, Daniele, Elena e Anna Maria), attraverso varie emozioni correlate (vedi quelle di Susanna e Tommaso), e pure gli aspetti relazionali e sociali (vedi sempre le espressioni di Tommaso e Jessica). Il bambino che riceve l’amore dei genitori, diviene capace di vivere altre relazioni d’amore, fraterne e amichevoli: l’amore infatti, gli consente di riconoscersi come altro rispetto al genitore e di entrare in relazione con il mondo. Ci sono molti studiosi (come Winnicot, Klein, Erikson, Dolto e Bruner) che lo confermano: l’humus familiare e sociale, dunque, la qualità e la quantità degli intrecci relazionali, influiscono in modo essenziale sulla realizzazione del bambino come persona. SECONDO LORO L’AMORE È. . . L’amore è quando esci a mangiare e dai un sacco di patatine fritte a qualcuno, senza volere che l’altro le dia a te. (Gianluca, 6 anni) Quando nonna aveva l’artrite e non poteva mettersi più lo smalto, nonno lo faceva per lei, anche se aveva l’artrite pure lui. Questo è l’amore. (Rebecca, 8 anni) L’amore è quando la ragazza si mette il profumo, il ragazzo il dopobarba, poi escono insieme per annusarsi. (Martina, 5 anni) L’amore è la prima cosa che si sente, prima che arrivi la cattiveria. (Carlo, 5 anni) L’amore è quando qualcuno ti fa del male e tu sei molto arrabbiato, ma non strilli per non farlo piangere. (Susanna, 5 anni) ? L’amore è quella cosa che ci fa sorridere quando siamo stanchi. (Tommaso, 4 anni) L’amore è quando mamma fa il caffè per papà e lo assaggia prima, per assicurarsi che sia buono. (Tommaso 6 anni) L’amore è quando mamma da a papà il pezzo più buono del pollo. (Carlo, 4 anni) L’amore è quando il mio cane mi lecca la faccia, anche se l’ho lasciato solo tutta la giornata. (Anna Maria, 4 anni) Non bisogna mai dire ti amo se non è vero. Ma se è vero, bisogna dirlo tante volte: le persone dimenticano. (Jessica, 8 anni)

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