Il microcredito alla prova dei fatti

Siamo davanti ad una svolta per rilanciare uno strumento utile per gli esclusi dal credito? Come può agire la finanza solidale senza un intervento pubblico deciso? Intervista ad Andrea Baranes, presidente della Fondazione culturale di Banca etica

Il microcredito serve a superare il vicolo cieco in cui si è cacciato il sistema bancario che concedere denaro solo a chi se lo può permettere, ai cosiddetti bancabili e cioè a coloro che possono offrire garanzie. Con i decreti attuativi, approvati a fine 2014, nel nuovo articolo 11 del testo unico bancario entrano in campo anche operatori del microcredito diversi dalle banche, che dovranno comunque iscriversi in un elenco presso la Banca d’Italia, mentre viene riconosciuto anche il ruolo degli operatori di finanza mutualistica e solidale come ad esempio le Mag (mutue di autogestione). 

Una delle critiche al provvedimento varato dal governo riguarda le dimensioni delle cosiddette microimprese o lavoro autonomo destinatari  di tali finanziamenti:  non devono avere la partita Iva da più di cinque anni, il numero di dipendenti deve essere inferiore a 6 unità nel caso di imprese e 11 nel caso di società.

L’ammontare massimo dei prestito (rimborsabile da 7 a 10 anni) è fissato a 25 mila euro anche se, in certi casi, può essere aumentato di ulteriori 10 mila euro. Su questa leva finanziaria che potrebbe accompagnare una ripresa dal basso dell’economia abbiamo chiesto il parere di Andrea Baranes, economista e presidente della Fondazione culturale di Banca etica.

 

I decreti attuativi sul microcredito possono davvero rilanciare uno strumento di carattere mutualistico di sostegno ai soggetti altrimenti non bancabili? Quali punti andrebbero definiti meglio per evitare, di fatto. la presenza della logica dominante delle banche commerciali?

«I decreti attuativi sono arrivati anni dopo la promozione della Legge quadro che introduceva finalmente il microcredito in maniera ufficiale. A dispetto della lunga attesa, secondo diverse realtà attivi nel settore è mancato un processo partecipativo che permettesse di tenere conto delle specificità del settore.

«Una perplessità riguarda i limiti stringenti posti alle realtà che potranno beneficiare di tali prestiti: limiti sul fatturato e di altra natura, che si scontrano sia con l'esperienza in Italia degli ultimi anni, sia con le prassi di altri Paesi europei. Sembra passare un'idea di microcredito che riguarda o attività estremamente limitate dal punto di vista economico, o l’idea di start-up, in particolare nel settore tecnologico, alla ricerca di un primissimo finanziamento. Ovviamente sono invece molte altre le tipologie di attività potenzialmente interessate.

«Un altro aspetto che è preso in considerazione nei Decreti ma che andrebbe ribadito con la massima attenzione è nella definizione stessa di microcredito, che quasi sempre non può e non deve limitarsi all'erogazione del prestito, ma che in maniera altrettanto importante riguarda l'accompagnamento e la consulenza del soggetto negli ambiti più diversi, dall'amministrativo al contabile, dal diritto del lavoro alle questioni fiscali. E' questa forse la maggiore differenza del microcredito rispetto all'attività delle banche commerciali e che caratterizza i soggetti che operano nel campo del microcredito anche in Italia». 

 

Pensando al settore delle imprese, non si tratta di importi (25 mila euro) troppo bassi, sufficienti cioè per attività marginali e perciò incapaci di avviare un percorso realmente alternativo in campo produttivo? Quali interventi strutturali di politica industriale ed economica sono necessari per dare sostegno ad attività finanziate con il microcredito?

«Assolutamente sì, questa è appunto una delle perplessità maggiori che diverse realtà che lavorano nel microcredito hanno posto ai legislatori. In particolare in una fase come quella attuale, caratterizzata dal credit crunch, ovvero dalla difficoltà per artigiani e piccole imprese di ottenere un finanziamento tramite i canali bancari, sarebbe essenziale sviluppare tutti gli strumenti complementari o alternativi possibili.

«Per consentire al microcredito di dare un impulso concreto in ambito sia economico sia occupazionale, e non relegarlo a poche operazioni marginali, il pubblico non può limitarsi ai decreti attuativi. Diversi enti locali hanno già da tempo creato dei fondi rotativi di garanzia che permettono agli operatori di lavorare anche con i soggetti più emarginati. Tali meccanismi andrebbero ampliati e resi più efficaci su scala nazionale. Ancora, per il corretto svolgimento delle attività di formazione, consulenza e accompagnamento dei soggetti più deboli, dovrebbero essere previsti dei fondi e dei meccanismi ad hoc per aiutare i soggetti del settore».

 

Non esiste un conflitto o competizione tra le Mag (mutue di autogestione)  e Banca etica in questo campo ?

«Più che di competizione si dovrebbe parlare di complementarietà. Le Mag e Banca Etica, svolgono attività differenti e si rivolgono in massima parte a soggetti differenti. In alcuni casi ci sono stati anche progetti realizzati in collaborazione, ma in un discorso più generale bisognerebbe sottolineare come anche nel mondo del credito andrebbe tutelata e favorita una sorta di “biodiversità”: una pluralità di soggetti, bancari e non, ognuno dei quali si rivolge a determinate realtà con gli strumenti e le competenze più appropriate.

«Purtroppo è proprio questa idea di “biodiversità del credito” che sembra oggi mancare nella visione del legislatore, non solo riguardo il microcredito. In Italia lo abbiamo visto con la proposta di riforma delle Popolari e le critiche, in massima parte infondate, all'idea stessa di banca cooperativa o popolare che funziona secondo il principio “una testa un voto”, a differenza delle banche Spa dove il controllo è “un euro un voto”.

«Il discorso è probabilmente ancora più evidente su scala europea, dove troppo spesso vengono promosse regole a “taglia unica”, disegnate su misura dei conglomerati di maggiore dimensione, e senza tenere conto dell'esistenza di diversi modelli bancari. Un'idea per lo meno miope, che di fatto premia le banche too big to fail, responsabili della crisi degli ultimi anni, e penalizza le esperienze di finanza etica e alternativa.

«L'auspicio è che la realtà del microcredito e tutte le realtà mutualistiche e solidali che si sono affermate negli ultimi anni possano trovare il giusto riconoscimento e sostegno, anche considerando la resilienza e la capacità di accompagnare e sostenere processi economici e occupazionali che hanno dimostrato e stanno dimostrando».

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