Il futuro ha fretta

Chi sono i nativi digitali, figli della Rete e non dei libri? 
ipad

Se guardiamo un vecchio film di trenta o quarant’anni fa, siamo colpititi dalla sua lentezza. Non è un caso: allora eravamo tutti più riflessivi nel ragionare e, di conseguenza, nell’agire. Negli ultimi decenni, invece, l’aumentato utilizzo della tecnologia – in particolare gli strumenti di comunicazione come computer, Internet e media digitali –, ha investito i nostri cervelli di una massa crescente di stimoli multipli, veloci, brevi, in parallelo, modificando letteralmente il nostro modo di pensare. Anche se spesso siamo sospettosi o impacciati con le nuove tecnologie, queste ci hanno già cambiato: abbiamo maggiore difficoltà di una volta a riflettere, fermarci, concentrarci, ci stanchiamo presto a leggere articoli di giornale troppo lunghi e “lenti”, saltiamo di paragrafo, basta poco a distrarci. In questi anni il nostro cervello si è adattato modificandosi e perdendo anche alcune facoltà che non potremo più recuperare. Per questo alcuni studiosi sostengono che, a forza di guardare in uno schermo, stiamo diventando tutti più stupidi. In compenso forse siamo più flessibili e rapidi. Sicuramente abbiamo bisogno di musica, film, vetrine, messaggi, notizie, suoni, immagini… insomma novità e stimoli a getto continuo. Il silenzio ha perso un po’ del suo fascino.

 

Tecnologia e mente

 

Questa interazione tra tecnologia e mente è una caratteristica fattasi più evidente nei nostri anni, con effetti tutti da scoprire: gli strumenti che usiamo, modificando la struttura del nostro cervello, cambiano anche il nostro linguaggio, il modo di leggere e pensare. Ma se questo è vero, almeno in parte, per gli adulti, cosa succede a chi, fin dalla nascita, è immerso nella realtà digitale? Bambini e ragazzi sono naturalmente a loro agio con le nuove tecnologie, le manipolano, le esplorano, le personalizzano senza bisogno di manuali, ma per tentativi ed errori. I cosiddetti nativi digitali non si limitano a subire passivamente la tv come i loro padri ma, protagonisti in prima persona della comunicazione, interagiscono (e giocano) con gli altri in Rete, sperimentando ruoli diversi e producendo contenuti (messaggi, audio, video) che poi immediatamente condividono, mettendoli a disposizione di tutti gratuitamente su Internet. La loro identità si modella nel mondo reale come nel virtuale, per cui non possono separarsi dal cellulare, ormai estensione del corpo, quasi protesi elettronica. I nativi non navigano o giocano solo da casa, ma anche mentre si spostano: Internet in mobilità, cioè attraverso i cellulari, è la caratteristica del nostro tempo, un’allargamento della sfera sociale, una serie continua di contatti, quasi un bisogno compulsivo.

 

Linguaggio povero

 

Per i ragazzi la tecnologia è naturale quanto per gli adulti leggere un libro, ma questo significa che vedono il mondo, i rapporti, il futuro in modo diverso. Se appaiono immaturi emotivamente, è anche perché nella Rete manca la comunicazione “non verbale”, fatta di gesti, sguardi e piccoli movimenti del corpo: le relazioni della vita reale sono ben più complesse di quelle virtuali. Su telefonini e siti sociali come Facebook usano un linguaggio povero, essenziale, frammentario e superficiale – con conseguente impoverimento scolastico –, mentre si scambiano parole che non userebbero mai se fossero faccia a faccia. Hanno un loro modo di imparare, mescolando concetti in modo pragmatico e “non sequenziale”, per cui a scuola i professori, formatisi sui libri, tentano invano di insegnare con metodo lineare a studenti che, formatisi in Rete, ragionano e apprendono per tentativi e sfide, mentre giocano online. Bisognerebbe cambiare il metodo, tuonano gli esperti, rendere la scuola virtuale, personalizzata, coinvolgente e multitasking (più attività diverse contemporaneamente); con gruppi di lavoro cooperativo online che prendono il posto della vecchia e superata (!) relazione diretta docente allievo. Povera scuola, forse è in arrivo un’altra riforma.

 

Giovani e adulti

 

Ma così si dà importanza ad un solo aspetto. I ragazzi di oggi sono semplicemente giovani che hanno bisogno di crescere sereni. Da che mondo è mondo, ogni generazione è stata diversa dalla precedente e ha saputo/dovuto trovare nuove strade per esprimersi. Senza però perdere gli strumenti base del pensare: Martha Nussbaum, filosofa statunitense, ci ricorda opportunamente che, anche nell’era delle tecnologie, per stimolare gli studenti a pensare autonomamente e diventare cittadini del mondo servono le materie umanistiche (Non per profitto, Il Mulino). Mentre Benedetto XVI invita i ragazzi a formare gruppi e reti di studio, scambiandosi idee su Internet, per rimanere in dialogo sulla loro fede (Youcat, Città Nuova).

Dunque, Rete e villaggio globale si possono considerare in tanti modi: cultura unica che appiattisce, ma anche trampolino verso una nuova comprensione di cos’è e dove va la famiglia umana. I nativi digitali sperimenteranno sulla propria pelle quest’unico sistema nervoso che connette, prima volta nella storia, ogni uomo sul pianeta. Nessuno è in grado di fare previsioni, il territorio è inesplorato: dovranno trovare da soli la strada e la saggezza necessaria a percorrerla. Agli adulti il compito di aiutarli ad entrare con equilibrio in questo nuovo mondo, sostenendoli con la propria esperienza di vita. Senza soffocarli, però, anzi facendogli spazio per non spegnere la speranza in un futuro migliore; aiutandoli ad usare questi nuovi mezzi per qualcosa di grande e bello.

Giulio Meazzini

 

Box1

Bilanciare reale e virtuale

 

Piccoli accorgimenti per inserirsi in modo equilibrato “prima” nel mondo reale e “poi” in quello virtuale:

·         parlate in famiglia, tra genitori e con i figli, e tra famiglie, di quali tecnologie digitali far entrare in casa, e quando, in funzione dell’età e della maturità dei vostri figli;

·         evitate che parenti e amici regalino ai vostri figli l’ultima novità tecnologica; una volta entrata in casa non uscirà più; salvaguardate l’intimità della famiglia;

·         regalate e fate regalare oggetti reali: chitarre, palloni, abbonamenti alla piscina, racchette da tennis e ping pong, magliette e blue jeans;

·         non mettete pc, tv o play station nelle camerette da letto, ma solo in luoghi comuni come il salone dove potete dare un’occhiata passando ogni tanto;

·         date e datevi dei limiti per il tempo passato su pc e play station; sappiate dire dei “no”;

·         regalatevi giornate senza tv, pc e altri media; quando si rompe qualcosa prendetevi tempo per ripararlo;

·         non acquistate subito l’ultima novità tecnologica, aspettate che ne sia stato valutato l’impatto oltre che l’affidabilità;

·         Internet e la tv non sono baby sitter; i figli hanno bisogno di contatto umano, non digitale; non lasciateli soli davanti ai media, fosse anche un “innocuo” game boy;

·         non abbiate fretta di regalare il cellulare (resistete anche se “tutti gli altri miei compagni ce l’hanno”); caricateci pochi soldi per volta e non attivate il collegamento a Internet;

·         spiegate i rischi per la privacy (anche futura) di lasciare informazioni, immagini e soprattutto sentimenti personali in Rete, in particolare nei siti sociali tipo Facebook (ad esempio non essere assunti sul lavoro per frasi o video stupidi lasciati su Internet);

·         commentate con loro le immagini e gli stili di vita che tv musicali e “grandi fratelli” impongono; parlate con loro di cosa è “bello” e cosa no;

·         abituateli fin da piccoli a leggere libri (di carta);

·         non scoraggiatevi, dite sempre come la pensate e poi lasciateli liberi, ma rimanendo sempre presenti accanto a loro.

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