Il fiore dell’arte islamica

350 “pezzi” dalla collezione al-Sabah del Kuwait a Milano. Una bellezza astratta. Luce e colore.
Miniatura con coppia principesca (Asia)

«Ciò che ho raccontato finora non è niente in confronto a ciò che vi dovrò narrare», dice Sherazade in Le mille e una notte. Sostituire il verbo narrare con “vedere” e ci si apre lo spettacolo di una mostra unica. Il fiore di un’arte che, per quanto si pensi di averla in qualche misura conosciuta, ha la capacità di sorprenderci di continuo. Si tratta infatti di una produzione che riunisce in sé le suggestioni – e le invenzioni – di altre civiltà: dalla romana e bizantina, alla cinese e persiana, dai recuperi di quella assiro-babilonese alla classicità, sintetizzandole con un linguaggio  nuovo, grazie al binomio inscindibile di luce-colore e all’amore per l’astrazione.

Nasce verso l’VIII secolo questa arte e trova la sua espressione lungo un arco di tempo che si spinge, con opere originali, sino alla fine del XVIII. La mostra, ricca di tessuti, libri, oreficerie, vetri, bronzi… ne documenta la creatività continua in una visione rimasta sempre identica nelle sue forme essenziali.

L’astrazione è il suo linguaggio. Una necessità, determinata certo dal credo religioso islamico che vieta le immagini divine, ma che riprende un filone remoto che si era espresso nell’arte egiziana e assira, capaci di fare delle figure umane i simboli di un altro mondo. Ma non mortifica la fantasia, che si sprigiona in un modo meraviglioso.

 Il bicchiere di vetro blu trasparente, proveniente dall’Egitto o dalla Siria (VIII-IX secolo) ricorda analoghe figurazioni dell’età minoica, ma con un ritmo ondulatorio e circolatorio bianco-blu da suscitare subito l’immagine di un cielo estivo. Il capitello marmoreo, firmato dallo scultore Shukr, viene dalla Spagna mozarabica ed è una variazione del capitello classico corinzio: qui diventa stilizzato, “mentale” come un brano di musica dodecafonica.

 

L’arte islamica appare di una varietà multiforme. I diversi tipi di candelieri, in rame argento o bronzo di età medievale, rimandano a figure geometriche esatte, ma la loro decorazione sovrabbonda di ornati, di incisioni, di tarsie metalliche che sono spesso richiami alla natura, a foglie d’acanto stilizzate e variate, ai colori densi di certe notti mediorientali.

Quello che stupisce è quanto questi oggetti, di uso domestico come tessuti, utensili o di lusso come le grandi coppe, i piatti, i tappeti e i libri, manifestino una incontenibile gioia di vivere. Pensando a quanto di quest’arte è fiorito in Spagna, non stupisce che in questa terra sia nato il barocco, con la sua straripante vitalità.

Si rischia di restare sopraffatti dalla bellezza, anche in oggetti di modeste dimensioni. La ciotola di rame del XIV secolo, dall’Iran, presenta all’interno una decorazione a steli intrecciati che finiscono in una stella: un cielo “rivoltato”, un paradiso di segni e simboli, luminoso. Quasi un occhio divino.

Ecco infine le ceramiche smaltate, i tappeti dai colori infuocati, le miniature che ritraggono la vita fastosa e avventurosa dei signori. Il gruppo nobiliare, su seta, del XV secolo, proviene dall’Asia. È singolare che i corpi e i volti “orientali” abbiano le movenze che, a migliaia di chilometri di distanza, un anonimo pittore contemporaneo ha affrescato nelle dame e nei cavalieri del castello della Malta, a Saluzzo.

Gli artisti, pur con stili diversi, sanno forse captare lo spirito di un’epoca e arrivano dalle diverse latitudini ad “incontrarsi”. Per questo è bello osservare la pagina del XV secolo dove un pittore, vestito “alla persiana” è ritratto di profilo mentre dipinge. L’autore si firma Bihzad. È o non è questo un suo ritratto? O rappresenta una figura ideale di artista? Non importa. Nascosta ad esaltare il simbolo, l’arte islamica non finisce mai di esprimere il suo amore per la vita.

 

Arte della civiltà islamica. La Collezione al-Sabah, Kuwait. Milano, Palazzo Reale, fino al 30/1/11 (catalogo Skira).

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