Il fine dell’Eucaristia

Dal volume antologico di Chiara Lubich La dottrina spirituale (Mondadori ed.) abbiamo scelto per i nostri lettori il seguente testo del 1976, rilettura di una delle realtà fondamentali della rivelazione e della vita cristiana alla luce della spiritualità dell’unità. E l’Eucaristia è appunto il tema che il papa ha proposto alla riflessione e alla vita della chiesa per un intero anno, a partire da questo ottobre. L’Eucaristia non è che porti soltanto frutti belli, buoni, di santità, l’amore; non è nemmeno che abbia come primo scopo quello di aumentare l’unità con Dio e fra noi (come è comunemente intesa l’unità) e serva perciò a nutrire la presenza di Gesù in mezzo a noi. Sì, anche questo. Ma il compito dell’Eucaristia è un altro. L’Eucaristia ha come fine: divinizzarci, farci Dio (per partecipazione). Mescolando le carni vivificate dallo Spirito Santo e vivificanti del Cristo con le nostre, ci divinizza nell’anima e nel corpo. Ora chi è divinizzato sta in Dio. Ecco perché l’Eucaristia colloca l’uomo, che se ne è cibato degnamente, nella Trinità in Gesù. Nello stesso tempo l’Eucaristia non fa questo di un uomo soltanto, ma di molti, i quali, essendo tutti divinizzati, non sono solo molti, ma uno. E questa realtà, che opera l’Eucaristia, è la chiesa. Che cos’è la chiesa? È l’uno provocato dall’amore reciproco dei cristiani e dall’Eucaristia. La chiesa è formata da uomini divinizzati, fatti Dio, uniti al Cristo che è Dio e fra loro. Se vogliamo il tutto visto un po’ all’umana, espresso cioè con termini umani – con un esempio che la Scrittura usa – la chiesa è un corpo, il cui capo è Cristo glorioso. Ma come Cristo è nel seno della Trinità, così la chiesa è chiamata ad essere, e lo è già sin da quaggiù, nei membri in cui l’Eucaristia opera, nel seno del Padre. E se in parte non lo è ancora, è in viaggio verso di esso. L’uomo poi travolge con sé tutto il creato, perché ne è la sintesi. Tutto quanto è uscito da Dio ritorna perciò, per l’Eucaristia, nella Trinità

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