Il fattore umano meno-che-umano

L'aereo della Germanwings si è schiantato al suolo per l'atto deliberato del copilota. QUel qualcosa che sempre sfugge ai controlli
Parenti delle vittime dell'aereo della Germanwings

Smarrimento e incredulità si leggono nei volti dei politici tedeschi e dei dirigenti della Lufthansa all'annuncio di quello che veramente era accaduto all'aereo della Germanwings schiantatosi contro il ventre di una montagna alpina dalle parti di Barcellonette. Nessuna defaillance tecnica, nessun errore umano, nessun atto di terrorismo.
Solo l'atto deliberato di un Mister nessuno, Andreas Lubitz, 27 anni, pilota promosso a pieni voti anche se con un bagaglio di "appena" 630 ore di volo.

Depressione? Stress? Sindrome da burnout (forte sindrome da stress)? Forse lo capiremo prima o poi. Ma poco importa, ormai, di fronte al dolore delle vittime, al non senso che prende alla gola nello scorrere delle immagini drammatiche dell'aereo disintegrato e dei corpi sparpagliati dal caso sulle pendici del massiccio dei Trois-Évêchés.

Tre sentimenti congiunti: la pietà per le vittime, la pietà per il pilota, la pietà per la nostra finitezza. Anche solo pensare per un istante agli ultimi momenti prima dell'impatto, quando i passeggeri finalmente si erano resi conto del loro ineluttabile destino, rende insostenibile l'orrore: la pietas per le vittime, la compassione è totale. Potevo esserci io su quell'airbus.

Poi la pietà passa al copilota, il giovane che ha smarrito il senso della vita, inghiottito dal proprio io, che in un terribile cupio dissolvi, ha ridotto 149 altri "io" all'insignificanza, quasi un simbolo di questa nostra società di diritti senza doveri, di individui che non sanno più relazionarsi.

Infine la pietà per questa nostra umana finitezza – finitude diceva Simone Weil – che pensa di poter controllare tutto, di poter dominare la terra con la tecnologia perfetta, ma che si smarrisce di fronte al fattore umano, o disumano, o sub-umano. Meno-che-umano.

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