Il fascino della teologia spirituale

Un interessante percorso di studio che da un singolo carisma si dilata verso orizzonti di vita e di pensiero sempre più grandi. 
Fiori
 Ho studiato teologia spirituale all’Istituto di spiritualità dell’Università Gregoriana di Roma. Non è stata una mia scelta. Nel 1983 il superiore generale, inaspettatamente, mi chiamò a Roma per lavorare con lui. In quel tempo facevo il formatore in seminario. Poiché lui viaggiava spesso per visitare le comunità in tutto il mondo, mi suggerì che durante le sue assenze io frequentassi alcuni corsi all’Istituto di spiritualità. Avrei così potuto approfondire il carisma del mio fondatore e dell’ordine, cosa che gli stava molto a cuore.

 

Mi pare che in questo modo impiegai quattro o cinque anni per completare i corsi del biennio di licenza (frequentavo solo pochi corsi ogni semestre). La gran parte di coloro che erano iscritti a spiritualità erano religiose e religiosi, destinati a diventare formatori o maestri di noviziato, o sacerdoti che sarebbero poi diventati padri spirituali nei seminari. Non erano tutti giovani; parecchi erano già maturi, dunque, con una consolidata esperienza di vita religiosa o sacerdotale.

 

All’inizio mi accostai alle varie materie – fondamenti biblici della santità, storia della spiritualità, psicologia dell’esperienza religiosa, il carisma dei fondatori ecc. – allo stesso modo in cui avevo studiato le varie materie filosofiche e teologiche del primo ciclo. Un accostamento, diciamo, di tipo intellettuale: studiare per imparare e per prepararmi ad esercitare meglio il futuro ministero. Un buon voto all’esame dimostrava, prima di tutto a me stesso, che avevo imparato i contenuti proposti in quel determinato corso.

 

Vivere prima di studiare

Poi avvenne un cambiamento, che rappresentò il primo motivo di fascino della teologia spirituale. Ricordo un’espressione ripetuta dall’allora preside dell’Istituto, C. Bernard: “Se cerchi uno studente di spiritualità, lo trovi o in cappella o in biblioteca”. Intuii che il vero cuore della materia che studiavo non era imparare la teologia spirituale, certamente bella e attraente, ma avviarmi io sulla strada di un’esperienza spirituale più intensa. Era il passaggio dalle cose spirituali alla vita spirituale, per approdare infine a una nuova e più consapevole scelta di Dio, sorgente e termine ultimo di ogni dottrina spirituale.

 

Mentre studiavo i fondamenti biblici della santità, sentii che Dio chiamava me a farmi santo, attraverso la strada dell’amore misericordioso che Dio aveva indicato al mio fondatore. Leggendo gli scritti dei grandi mistici spagnoli del secolo d’oro, percepii l’attrattiva della vita di contemplazione, dell’intimità con Dio. Il corso sugli aspetti pneumatologici della spiritualità cristiana mi introdusse ad una maggior consapevolezza della presenza dello Spirito in me e ad un rapporto personale con Lui.

 

Il corso di psicologia dell’esperienza religiosa mi aiutò a chiarire le motivazioni e le dinamiche anche psicologiche della mia consacrazione e dei rapporti in comunità. Studiando la spiritualità dei voti religiosi non solo li capii meglio, ma decisi di viverli con maggiore radicalità. Il corso su Maria nella vita spirituale, forse non intensificò le mie pratiche devozionali, eppure mi spinse decisamente a volerla imitare come modello del discepolo e del consacrato.

 

Credo che questa componente esperienziale della teologia spirituale sia connaturale e irrinunciabile a questa disciplina teologica. E anche peculiare, rispetto ad altre specializzazioni. In diritto canonico o esegesi biblica o pastorale familiare o dogmatica ecc., il teologo è anzitutto chiamato a dotarsi di strumenti conoscitivi e interpretativi che lo rendano un esperto di quella materia, a prescindere dalla sua esperienza personale (anche se questa non è mai del tutto esclusa). In teologia spirituale questo non avviene, o almeno, non è avvenuto per me. È come chi ascolta una musica sublime o avvicina una donna (o un uomo) attraente o ammira la maestosa cima di una montagna innevata: sono incontri, esperienze che non lasciano indifferenti, ma coinvolgono tutte le dimensioni del nostro essere, il cuore lo spirito e la mente, e ci attirano. Ci affascinano, appunto.

 

Dalla prospettiva della teologia spirituale posso allora riformulare l’invito del “Contemplata aliis tradere” di sant’Ignazio di Loyola in: “Experita aliis tradere”. Avviarmi sulla strada della vita secondo lo Spirito, percorrendo le varie tappe che i maestri spirituali hanno delineato distillando la propria esperienza spirituale, mi introduce anzitutto nel fascino di una straordinaria avventura con Dio, accompagnato da tutti gli uomini e le donne che l’hanno vissuta prima di me. E mi rende poi capace di trasmettere ad altri “ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi, ciò che noi abbiamo contemplato e ciò che le nostre mani hanno toccato” (1 Gv 1, 1) e diventare a mia volta annunciatore, guida spirituale e maestro credibile, memore dell’esortazione lasciataci da Paolo VI: “L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri… o se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni” (EN 41).

 

Conoscere gli altri carismi

 

Il secondo motivo di fascino della teologia spirituale deriva da un’altra scoperta di quegli anni. All’inizio avevo condiviso la finalità che mi era stata indicata dai superiori: studiare il fondatore e aiutare il mio ordine a comprendere meglio il carisma specifico e i modi nuovi di incarnarlo oggi nella Chiesa e per l’umanità.

 

Venendo a contatto, attraverso lo studio, con le molteplici e variegate spiritualità che via via sono maturate nella storia della Chiesa, con i diversi fondatori e fondatrici che nei secoli Dio ha suscitato, e soprattutto con i membri di tutte queste comunità, avvenne in me un altro cambiamento. Desiderai conoscere meglio, almeno un poco, gli altri fondatori e le altre spiritualità, arricchirmi delle ricchezze spirituali di cui erano depositari. Mi sentii attratto a costruire rapporti di fraternità con religiose e religiosi di altri ordini e congregazioni, a volte anche a frequentare le loro comunità, ascoltare le loro storie, condividere almeno un poco la loro vita.

 

Ricordo che uno scritto di una maestra spirituale del nostro tempo, Chiara Lubich, mi fu di particolare ispirazione e illuminazione. Risale alla fine degli anni ‘40 ed è intitolato: “Cristo dispiegato nei secoli”. Ne riporto qualche passaggio:

Gesù è il Verbo di Dio incarnato. La Chiesa è il Vangelo incarnato: per questo è sposa di Cristo. Si son visti attraverso i secoli fiorire moltissimi ordini religiosi. Ogni famiglia, o ordine, è la ‘incarnazione’, per così dire, d’una espressione di Gesù, d’un suo atteggiamento, d’un fatto della sua vita, d’un suo dolore, di una sua parola. Ci sono i francescani che continuano a predicare nel mondo, anche con la loro sola esistenza: ‘Beati i potevi di spirito perché di essi è il Regno dei cieli’ (Mt 5, 3). Ci sono i domenicani, che contemplano il Logos, il Verbo, sotto l’aspetto di Luce, di Verità e la Verità spiegano e difendono. I monaci hanno associato all’azione la contemplazione (Marta e Maria). I carmelitani adorano Dio sul Tabor, pronti a discendere per predicare e affrontare la passione e la morte. I missionari attuano il precetto: ‘Andate e predicate a tutte le genti’ (Mt 28, 19). Ordini, congregazioni e istituti di carità ripetono l’intervento del buon samaritano… Insomma, la Chiesa è un maestoso Cristo dispiegato attraverso i secoli

Nello splendido giardino della Chiesa fiorirono e fioriscono tutte le virtù. I fondatori degli Ordini sono quella virtù fatta vita e salirono al Cielo trasfigurati da tanto amore e tanto dolore, come ‘parola di Dio’

Il Vangelo predicato da Gesù era la buona novella, l’Amore annunciato. In venti secoli quest’Amore ha preso concretezza nella sua Chiesa la quale prosegue l’Incarnazione, in certo senso[1].

 

Tale incarnazione avviene perché ogni carisma, con la spiritualità che lo esprime e la famiglia religiosa che esso genera, rende vivo nel tempo Cristo che predica e annuncia il Regno, che guarisce i malati, che si ritira sul monte a pregare, che accoglie i bambini, che abbraccia i lebbrosi, che sfama le folle, che soffre la passione ecc. (cf. LG 46).

Ammiriamo certamente un’aiuola tutta composta di rose rosse. Ma ancor più bello è un giardino pieno della multiforme e multicolore varietà di tanti fiori, ognuno con la sua bellezza che non si confonde con quella degli altri , ma che anzi risalta ancor più accanto agli altri per la forma e i colori che lo distinguono. Avvicinando le varie correnti spirituali e conoscendo le famiglie religiose (almeno alcune) sorte lungo i secoli nella Chiesa mi affascinò scoprire in ognuna la comune radice nel Vangelo, e tutte mi attirarono.

 

In ognuna vidi il “di più” e anche il “di meno” rispetto alla mia. E da tutte avevo da imparare per crescere nella mia vita spirituale. Teresa mi insegnava a pregare meglio; Domenico ad unire la scienza con la sapienza che viene dall’alto; Ignazio a non anteporre nulla alla ricerca della gloria di Dio; Giovanni Bosco la giusta pedagogia per avvicinare i giovani. Benedetto mi ricordava l’importanza del lavoro apostolico non disgiunto dall’orazione; Francesco la semplicità e la fraternità evangelica; Teresina l’umiltà. Francesco di Sales mi mostrava che la santità è aperta a ogni stato di vita, Caterina da Siena la passione per la Chiesa, Alfonso de’ Liguori come uniformarmi alla volontà di Dio, Pier Giuliano Eymard il valore dell’Eucaristia ecc.

 

Santi insieme

 

Accostarmi alle altre vie spirituali, tracciate lungo la storia del cristianesimo, non mi ha fatto dimenticare o sminuire quella percorsa dal mio fondatore. Anzi, l’ho valorizzata e compresa meglio, come un tassello dell’unico maestoso mosaico di Cristo dispiegato nei secoli e presente in ogni parte del mondo. Il precetto evangelico “ama il prossimo tuo come te stesso” (Mt 19, 9) posso viverlo anche amando il carisma, la spiritualità, la famiglia religiosa dell’altro come la mia. E questo ha prodotto in me alcuni effetti: la spinta a conoscere meglio il mio fondatore, una più chiara comprensione delle caratteristiche distintive del suo carisma, un più deciso impegno a vivere il carisma per mostrarlo incarnato ed esser così in piccolo il fondatore redivivo, un maggiore amore alla Chiesa in tutte le sue componenti, una nuova esperienza di fraternità e di comunione ecclesiale, un’accresciuta stima anche delle altre espressioni spirituali presenti nella Chiesa. Ero partito dallo studio del mio santo fondatore e mi sono aperto alla comunione dei santi.

 

Affascinato da questa esperienza, mi sento in profonda sintonia con l’invito di Giovanni Paolo II a promuovere la spiritualità di comunione, così da “fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione… se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo” (NMI 43). Proprio la testimonianza di reciprocità fra le varie tradizioni ed espressioni di vita spirituale può offrire l’opportunità per allargare “gli spazi della comunione”, fino ad includervi tutti i credenti e tutti gli uomini e le donne di buona volontà.

 

In diversi manuali ho letto varie definizioni della teologia spirituale. Se mi fosse chiesto di sintetizzare in poche parole come io ho scoperto e capito la teologia spirituale, direi: è quella disciplina teologica che ci aiuta a farci santi insieme. Ecco ciò che di essa mi ha più affascinato! Parafrasando il versetto di Mt 18, 20 desidero che Gesù possa dirci : “Dove due o più sono uniti nel mio nome a studiare teologia spirituale, io sono in mezzo a loro”. Studiando così, potremmo sperare che il voto all’“esame finale” sarà molto alto!

 



[1] Lo scritto completo è pubblicato in: C. Lubich, La dottrina spirituale (a cura di M. Vandeleene), Città Nuova, Roma 2006, pp. 175-178.

 

 

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