Il dilemma Turchia

Èun bene o è un male accettare l’ingresso della Turchia nell’Unione europea? La questione non è di oggi. Se ne parla da anni con maggiore o minore convinzione, ma forse mai come in questi giorni è stata riproposta così perentoriamente. Non solo, ma aggiungerei che gli argomenti addotti in favore del sì o del no appaiono equamente bilanciati.Tanto che, mentre fino a qualche tempo fa pareva ovvio che l’Unione avrebbe potuto allargarsi indefinitamente, oggi non è più così. Dopo l’11 settembre sono cresciuti i timori verso il mondo islamico nel suo complesso e si è acuita la coscienza di quanto poco conosciamo quel mondo.Timori che si sono via via acuiti con l’evolversi degli avvenimenti, dopo la reazione avventata della guerra in Iraq e con il terribile strascico di ritorsioni che ne è seguito. Certo che, mentre l’incendio iracheno va sedato nel più breve tempo possibile con tutti i mezzi per riportare la pace nella regione e ripartire da zero a tessere una trama di convivenza, quello che è definito il problema Turchia si pone invece come l’occasione concreta per costruire un rapporto, anzi, un legame di partenariato liberamente scelto fra i due mondi che qui si toccano al mezzo di un grande ponte che oggi si chiama Turchia e che congiunge fisicamente l’Europa all’Asia. Da sempre. Per millenni questo ponte è stato attraversato da tutte le transumanze umane che hanno via via prodotto, intrecciandosi, durevoli civiltà sia nell’oriente allora conosciuto che in Europa. Certo non senza conflitti, ma costruendo insieme via via la storia di questo emisfero. La Grecia classica espresse su queste rive gran parte della propria cultura e della propria arte. I romani chiamavano Asia l’Anatolia e ne fecero la loro provincia più ricca.Tale fu anche per i bizantini, mentre il cristianesimo vide fiorire qui le prime chiese dell’Asia, fondate dagli stessi apostoli. Conquistata dalla spada dell’islam e occupata da popolazioni turche, la regione verso la fine del Medioevo divenne il cuore dell’impero ottomano che si propose come principale antagonista dell’Europa, cercando a più riprese di assoggettarla, pur senza cessare di intrattenere con paesi cristiani fiorenti relazioni commerciali e culturali. Stagioni di amore e odio si alternarono negli ultimi secoli fino a quella che poté ritenersi la sua implosione. Ma la Turchia uscì dalle macerie di questo grande sisma con una fiera volontà di preservare la propria identità nazionale che via via si era venuta formando in seno al magma religioso politico dell’islam. E per suggellarla definitivamente, diede con Ataturk al giovane stato un’impronta laica. A questa Turchia laica ed occidentalizzata, ancorché tenacemente islamica, era parso utile a molti governi europei di non negare una prospettiva aperta verso un suo possibile ingresso nell’Unione, dando per scontato l’adempimento da parte turca di tutti i requisiti richiesti ad ogni partner, a cominciare dal rispetto dei diritti umani e delle regole del vivere democratico, oltre al raggiungimento di alcuni fondamentali parametri economici. Non senza ritardi e difficoltà questi parametri stanno per essere raggiunti, ma è a questo punto che crescono le perplessità espresse dai paesi che più soffrirebbero dell’impatto con l’ingresso della Turchia nell’Unione. A cominciare dalla Germania che ospita già per motivi storici la più grande colonia turca in occidente. Di colpo non ci sarebbe più un argine all’ingresso di lavoratori turchi nella Repubblica federale, con ovvie ripercussioni sul mercato del lavoro già in crisi. L’alternativa proposta all’ingresso nell’Unione potrebbe essere una partnership speciale e rafforzata con la Turchia. Anche importanti esponenti del mondo culturale e religioso esprimono a livello personale le loro perplessità. Il cardinale Ratzinger ha definito l’ingresso della Turchia nell’Unione un fatto antistorico ed un errore grave. Il Vaticano non si esprime ufficialmente, ma chiede per bocca del proprio nunzio ad Ankara che la Turchia completi prima la riforma nel campo delle libertà religiose e personali . Del resto, è proprio con questa speranza che le piccole comunità cristiane sopravvissute in Turchia vedrebbero con favore il suo ingresso nell’Unione. Da parte sua il premier Erdogan, primo musulmano fervente salito alla direzione del governo a furor di popolo, vede l’entrata in Europa come una possibilità per ridurre la rigida impostazione laica dell’apparato statale turco. Certo, proprio nel momento in cui l’Europa sembra disconoscere le proprie radici storiche cristiane, può essere interessante vedere come essa voglia definire la propria identità. E questa sfida, alla quale non può sottrarsi, potrebbe diventare uno stimolo per nuove riflessioni che l’aiutino a uscire dalla logica gretta del puro mercato.A partire dalla Turchia, il dialogo con l’islam non è eludibile.

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