Il demone feroce e solitario del gioco d’azzardo

Solitudine e poca visibilità per i promotori dell’iniziativa Slot Mob contro la “Bisca Italia”. Avvenire è una delle poche testate che, per ora, la sostengono. Ma qual è il senso di fare informazione stando fuori dal coro? Eppure la consapevolezza cambia il mondo. Intervista politicamente scorretta a Marco Tarquinio sulla “gente curiosa e generosa, che non si accontenta” e sulla follia dello “Stato biscazziere”
slot machines

Città Nuova assieme a Vita, Valori e Avvenire è tra i promotori dell’iniziativa pubblica Slot Mob (dopo Biella, Milano e Teramo, il 5 ottobre è toccato a Monza: www.nexteconomia.org/slots-mob). Il grande e autorevole quotidiano Avvenire si sta spendendo da tempo, in quasi totale solitudine, sul grande affare del gioco d’azzardo legalizzato.

I promotori della campagna “mettiamoci in gioco” ci hanno detto che alla loro conferenza stampa, che pure metteva il dito nella piaga evidenziando responsabilità politiche diffuse, era presente solo Avvenire, il giornale di solito definito “dei vescovi”, mentre raramente si citano, ad esempio, i proprietari degli altri quotidiani: Confindustria, Agnelli, De Benedetti, Berlusconi, Caltagirone, Angelucci, ecc.

Ma qual è il senso di un mezzo d’informazione oggi? Lo abbiamo chiesto al direttore Marco Tarquinio.

Da tempo Avvenire si muove, nel mondo dell’informazione, oltre i rassicuranti confini dei temi istituzionali cercando di dare voce ai senza voce…
«Non ci sentiamo soli. Siamo fuori dal coro, è vero. Ma, come noi e come voi, fuori dal coro c’è tanta gente, sempre di più – direi – in questo tempo di crisi e di ripensamento sui modelli fasulli di politica, di economia e di società che abbiamo sperimentato. Gente curiosa e generosa, che non si accontenta. Una bella minoranza creativa e contagiosa, senza complessi e decisa a liberarsi anche dalle inconsapevoli sudditanze a certo “politicamente corretto” che è umanamente scorrettissimo.

«E poi perché mai dovrebbe essere davvero “rassicurante” per i cittadini-lettori il ritrovarsi confinati nella platea-recinto delle notizie masticate e rimasticate invano? Credo tanti non ne possano più delle denunce fini a se stesse e dei gossip vippettari. Delle inchieste giornalistiche che sono solo prolungamenti mediatici di indagini giudiziarie troppe volte condotte con un clamore inversamente proporzionale al successo processuale e all’efficacia moralizzatrice. Dei retroscena che raccontano apparentemente tutto di ogni tipo di palazzo del potere e niente dicono e cambiano della vita vera della gente vera del nostro Paese.

«Ad Avvenire, per la qualità dei cronisti che fanno ogni giorno il giornale che dirigo e per la libertà e saldezza valoriale che il nostro editore ci affida e garantisce, riusciamo a dimostrare che un altro giornalismo è possibile ed è utile. A me piace dire che così riusciamo a costruire un po’ di quella “consapevolezza che cambia il mondo”, perché arma l’amore e illumina i lati bui della scena».

Per questo, in quasi solitudine affrontate temi di frontiera? Pensiamo a ciò che Avvenire sta facendo per il dramma della cosiddetta “terra dei fuochi” in Campania.
«Accendere lo sguardo delle persone è decisivo: fa finire le guerre, spezza gli artigli alle mafie, scuote la politica malata di miopia e autoreferenzialità, salva vite di lavoratori e bambini nati e non nati, fa aprire gli occhi su discriminazioni e ingiustizie, porta a riconoscere i modelli positivi… Può aiutare a spegnere persino i roghi tossici in Campania, quelli che per più di vent’anni si è fatto finta di non vedere. E può fermare anche il dilagare nella nostra società del male dell’azzardo, la metastasi delle slot machines e delle bische online. Sì, la consapevolezza cambia il mondo. Ne sono più che mai convinto».

Il servizio e la denuncia sulla diffusione del gioco d’azzardo, agevolata da una normativa statale incentivante, non può rimanere senza conseguenze.
«L’azzardo sta impoverendo ancora di più i già poveri e sta fabbricando nuovi miseri. L’azzardo ormai senza freni, quello che ci induce a scrivere e titolare su “Bisca Italia”, è una tassa sulla disperazione economica ed esistenziale ed è un mostro che divora risorse ed energie che, più che mai in questo tempo difficile ed esigente, sarebbero essenziali per il comune ricominciamento del nostro percorso di sviluppo. Ma soprattutto – e per tanti di noi è la cosa più grave – l’azzardo diseduca profondamente: proclama che la fortuna conta più della dedizione, che la saggezza e la fedeltà valgono meno di una giocata al momento giusto, che una ventata favorevole risolve di più e più rapidamente di qualunque competenza.

«Penso, però, che anche la nostra denuncia – che fa eco, amplifica e sostiene quella di belle e tenaci realtà ecclesiali e civili – sortisca effetto. Qualcosa, tutti assieme, abbiamo già ottenuto (dal riconoscimento del gioco d’azzardo compulsivo, la cosiddetta ludopatia, allo stop speriamo definitivo delle nuove mille sale da poker progettate nelle nostre città), ma tanto resta da fare. E il successo civile della straordinaria iniziativa dello slot mob ci dà sprone».

È facile, in questo campo, ricevere l’accusa di “moralizzatori talebani” contro la libera iniziativa privata. Come affronta queste critiche?
«Con molta serenità. I talebani sono altri: quelli che pretendono di farci credere che l’azzardo sia davvero un gioco e che quella di azzardare e di azzardarsi sia una “libertà” da promuovere. I talebani solo coloro che, in questo nostro Paese dove nessuna sana liberalizzazione è stata realizzata, sono riusciti a imporre e sviluppare una devastante liberalizzazione del mercato dell’azzardo, provocando una spaventosa proliferazione della rete e dei profitti di Azzardopoli. Voglio essere molto chiaro: talebani immorali sono quelli che arrivano a negare che l’azzardo sia un problema e non usano neanche quella parola e, magari, ragionano per interi convegni con asettica soddisfazione sulla crescita dei “giochi a distanza”… Sembra che parlino di pallacorda e battaglia navale, e invece si tratta di poker online!».

Di solito si dice che è meglio legalizzare e mettere sotto controllo il fenomeno piuttosto che penalizzarlo, per non favorire il mercato clandestino preda del malaffare. Non c’è una spinta proibizionista in questo contrasto all'azzardolegalizzato?
«L’unica proibizione assoluta che reclamiamo da tempo è quella della pubblicità. L’azzardo non deve essere propagandato. Punto. Come l’alcol, come il tabacco. E poi vanno ricreati quegli argini che sono stati ridotti al minimo o addirittura abbattuti. Quanto ai contatti tra azzardo legale e azzardo illegale sono impressionanti: lo dicono inchieste e sentenze della magistratura e documentate analisi e circolari della Banca d’Italia. Il malaffare, purtroppo, ha rapidamente ri-colonizzato settori importanti di questo settore dopo la loro emersione dalla clandestinità. E più faranno crescere quel mercato, peggio sarà».

Nelle casse dello Stato entrano circa 8 miliardi di euro l’anno grazie al mercato legale dell’azzardo incentivato da leggi e leggine. Come si può rifiutare questo introito in tempi di crisi? E come dare una diversa occupazione ai circa 200 mila lavoratori del settore?
«Come si può rispondere? Facendo i conti. Non sto a ripetere cose risapute: ma i costi sociali dell’azzardo sono pari ad almeno – almeno! – 6 miliardi. E come si fa a sorvolare sul fatto che per mantenere 200mila posti “accessori” a macchinette e affini se ne distruggono assai di più, spazzando via serenità economiche ed esistenziali di imprenditori e lavoratori? La logica per la quale le congiunture negative giustificano tutto, poi, è folle. Voglio essere persino eccessivo nel paragone (ma neanche troppo): è un po’ come se si annunciasse che, poiché la malavita uccide a ripetizione e le patrie galere sono troppo piene, è da considerarsi “legale” l’omicidio compiuto in recinti autorizzati e gestiti da titolari di regolari concessioni… E’ chiaro che la schedina del totocalcio o la giocata al lotto non è una raffica di mitra o un colpo di lupara, ma la faccia dello Stato biscazziere somiglia maledettamente a quella di Al Capone».

Dopo tante indagini e approfondimenti sulla questione pervasiva del gioco d’azzardo in Italia, che tipo di lettura profonda si può dare del fenomeno? Che segnale di società emerge nella complessità del nostro tempo?
«Preferirei non tirare conclusioni, visto che considero la partita ancora aperta. Ma non c’è dubbio che una società che si affida in modo massiccio a diverse forme di roulette è una società che divinizza il caso e incorona la dea fortuna, insediandoli al posto della Provvidenza, dell’amore e della passione civile, della pazienza e della disciplina, della fantasia e del lavoro necessari per costruire qualcosa che non sarà mai un prodotto o un bottino, e neppure solo un “premio” per la fatica fatta. Chi costruisce davvero, infatti, non lo fa mai solo per sé, e vive la parte più esaltante dell’autentico “gioco” della vita.

«Chi azzarda, invece, non gioca più e si consegna a un demone feroce e solitario. Un laico tentatore che prova a convincerci che cose e prospettive cambiano per assuefazione e non per dedizione, e che le storie e le salvezze personali maturano senza motivo e senza merito. Non è così, e comunque non è questa la società che da cristiani e da cittadini vogliamo edificare».

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