Il debito pubblico lo paghi qualcun altro

A chi tocca pagare il debito dello Stato? Una riflessione sulla “patrimoniale” proposta da Giuliano Amato e Pellegrino Capaldo
Simbolica soldi

Al di là delle cifre, non troppo promettenti, che si possono racimolare vendendo le restanti proprietà pubbliche, qualcuno dovrà mettere mano al portafoglio. La questione è solo chi e in quale forma. Questa banale verità sembra essere troppo spesso ignorata nel dibattito in corso sui temi fiscali.

 

Riflettiamo un attimo sulle alternative. A pagare potranno essere chiamati i lavoratori e i consumatori di oggi attraverso prelievi sul loro reddito o aggravi sui prezzi che pagano; oppure a pagare potranno essere chiamati in misura maggiore coloro che percepiscono redditi da proprietà (interessi, dividendi, ecc.), attraverso aliquote fiscali meno favorevoli di quelle odierne; o ancora, invece che tassare il reddito, si può pensare di tassare i patrimoni, accumulati o ereditati, dagli italiani di oggi, colpendo quindi i proprietari di case, terreni, titoli finanziari… come proposto in questi giorni dal prof. Pellegrino Capaldo e poi dall’ex presidente del consiglio Giuliano Amato. 

 

In realtà il nostro Paese non è costretto a scegliere una delle opzioni fin qui elencate, perché ce n’è un’altra: a pagare il debito accumulato negli ultimi decenni potranno anche essere i cittadini di domani. In altre parole, noi generazioni adulte possiamo cavarcela lasciando la patata bollente in eredità alle giovani generazioni. Va detto, però, che se in casa i giovani sono stati fin troppo coccolati, nel mondo del lavoro stanno già portando il peso di una forte penalizzazione in termini di paghe, di stabilità di impiego, di prospettive pensionistiche.

 

Per completezza, c’è anche una terza ipotesi, piuttosto barbara: che il debito pubblico non sia più rimborsato, come è successo nel caso dell’Argentina dopo la crisi del 2002. Anche in questo caso, comunque, qualcuno ha pagato: quelli che – per sfortuna, per calcoli sbagliati o perché mal consigliati – avevano investito i loro risparmi in titoli del debito pubblico argentino. 

 

Nella difficile scelta tra queste alternative, tutte in vario modo sgradevoli, c’è poi un’aggravante: che se non facciamo qualcosa presto, i mercati finanziari faranno pagare care anche agli italiani indecisione e incoerenza, come già stanno facendo con irlandesi e greci, che sul loro debito pubblico si trovano a pagare tassi di interesse molti più salati rispetto ai loro colleghi europei dei Paesi “virtuosi” (tedeschi innanzitutto).

 

E poi, come in tutti i bravi processi, c’è anche un’attenuante: che se il volume dell’attività economica (il Pil), che è il denominatore del rapporto debito/Pil, crescesse abbastanza rapidamente (diciamo più del 3 per cento annuo, oltre l’inflazione), la pesantezza di quel debito andrebbe via via attenuandosi (come succede in una famiglia che deve pagare un mutuo quando il capofamiglia ha un aumento di paga).

 

Purtroppo si tratta di una speranza su cui realisticamente non si può fare troppo conto, dato l’andamento attuale dell’economia italiana ed europea e dato che, comunque, l’effetto sarebbe molto lento. Se questa è la situazione, strapparsi le vesti indignati di fronte alla proposta di colpire i titolari dei patrimoni più ingenti è piuttosto ipocrita, come pure l’accusa di un partito all’altro di essere il partito delle tasse o, peggio, di «voler mettere le mani nelle tasche degli italiani».

 

Il punto non è che l’imposta patrimoniale di Capaldo e Amato sia una proposta priva di difetti. Ne ha. Quello che voglio sottolineare è che – per la correttezza del dibattito – chi la critica dovrebbe indicare a chi altro vorrebbe far pagare, invece, il debito pubblico.

 

Ma è possibile che i nostri politici, che in molti casi sono anche capaci e preparati, non si rendano conto di quanto sto dicendo? È possibile che siano tutti degli incompetenti o dei farisei? Certamente la classe politica qualcuna di queste colpe ce l’ha, ma state sicuri che non si comporterebbero così se queste stesse colpe non fossero largamente condivise con gli elettori.

 

Cari concittadini, mettiamoci la mano sulla coscienza. Finché un politico raccoglie più voti lasciando passare il messaggio «se mi eleggete, le tasse le pagherà qualcun altro», e invece diventa impopolare se dice le cose come stanno, non potremo nutrire troppe speranze sulla serietà e la coerenza delle future scelte fiscali.

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