Il ciclismo ha le gomme sgonfie

Lunedì 6 febbraio, il Tribunale arbitrale dello sport di Losanna, ha squalificato per due anni lo spagnolo Alberto Contador, riscrivendo le classifiche delle grandi corse a tappe
Il ciclista Alberto Contador
Alberto Contador Velasco. Colpevole!
Suona così la sentenza di novantotto pagine emessa dal Tas di Losanna lunedì scorso dopo 565 giorni di attesa. Alla faccia del processo breve. Ricostruire i fatti del caso Contador, vuol dire tirare in ballo la Federazione Ciclistica Internazionale (UCI), l’Agenzia Mondiale Antidoping (WADA) e la federciclismo spagnola, primi attori di uno spettacolo ricco di sentenze, rinvii a giudizio, perizie, statistiche e assoluzioni. Potrebbe essere la trama ideale di una grottesca commedia pirandelliana, ma questa volta, purtroppo, è la nuda realtà a vincere sulla finzione.

La “bomba” esplode il 30 settembre 2010: Alberto Contador risulta “non negativo” ad un controllo antidoping effettuato il 21 luglio, durante il secondo giorno di riposo del Tour de France poi vinto dal corridore iberico. La sostanza tracciata in quantità minima (50 picogrammi) è il clenbuterolo, principio attivo contenuto nei farmaci broncodilatatori antiasmatici.
Nasce l’ipotesi di una sospetta contaminazione alimentare: Contador al Tour avrebbe mangiato, assieme ad alcuni suoi compagni di squadra, tra cui l’italiano Paolo Tiralongo, carne bovina contaminata. Il filetto “dopato”, sarebbe stato portato in Francia da Josè Luis Lopez Terron, organizzatore di una corsa a tappe spagnola, su precisa richiesta di Alberto. Il risultato è che dopo quella famigerata cena solo Contador viene inchiodato dall’antidoping.

Il mistero si infittisce e la giustizia comincia a fare eccezioni, per non dire sconti, quando vengono squalificati il ciclista danese Philip Nielsen e l’italiano Alessandro Colò, per positività, manco a dirlo, al clenbuterolo, riscontrate nell’aprile 2010 durante il Giro del Messico. Colò dimostra di aver mangiato carne contaminata: in centro America il clenbuterolo è largamente utilizzato negli allevamenti intensivi. Non basta. Colò viene squalificato un anno dalla federciclismo italiana, ritenuto “responsabile per colpa non significativa”.

La sentenza Contador invece si fa attendere e balla sulle note di un valzer a dir poco grottesco. La federazione ciclistica spagnola il 25 gennaio 2011, propone prima una squalifica analoga a quella di Colò, poi dopo pochi giorni ritira le accuse e assolve il corridore che di conseguenza è libero di correre e di tornare a vincere “all’ombra di un tribunale”: Vuelta Murcia, Vuelta Catalogna e tappa alla Vuelta Castilla y Leon. Ovviamente non c’è sentore di giustizia, così UCI e WADA non ci stanno e fanno ricorso al Tas. Seguono perizie e ispezioni anche nella macelleria di Irun, nei Paesi Baschi, dove Lopez Terron, l’amico di Contador, dichiara di aver acquistato la carne. Gli esiti sono negativi. Del clenbuterolo non c’è traccia.

Intanto il ciclismo va avanti. Si avvicina il Giro d’Italia 2011. “Sono tranquillo. Penso solo a vincere” – dichiara l’asso spagnolo. Peccato però che tranquilli non erano gli appassionati di ciclismo che vedevano trionfare un campione dalla sorte incerta. Rinvii su rinvii, ecco la sentenza di lunedì: “Troviamo che una positività al clenbuterolo sia più probabile a causa di un integratore contaminato che non per una trasfusione o l’ingestione di carne contaminata”. Morale della “favola” sono serviti 565 giorni per dichiarare che probabilmente, forse, di doping si è trattato. Il finale a sorpresa è che la squalifica è retroattiva, cioè tiene conto del periodo trascorso dal controllo antidoping  “non negativo” ad oggi. Così Contador è obbligato a rimettere tutte le sue vittorie, restituendo all’UCI quasi due milioni e mezzo di euro, l’equivalente dei premi conquistati. Le classifiche del Tour de France 2010 e del Giro d’Italia 2011 vengono inesorabilmente riscritte. Il vincitore ufficiale della “Grand Boucle” 2010 diventa il lussemburghese Andy Shleck, mentre il Giro 2011 passa nelle mani del nostro Michele Scarponi.

Ora ad essere onesti, anche se questa storia continuerà ancora chissà per quanto nel valzer dei ricorsi, è innegabile che è tutto il ciclismo ad aver “forato”. Ai vertici di questa romantico sport, che è scuola di vita nel bene e nel male,  spetta decidere se continuare con la commedia pirandelliana o se restituire ai tifosi e agli appassionati il valore ciclistico più alto, nobile e oramai perduto: la trasparenza.

 

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