Il centuplo

Un amore esigente, quello di Gesù: dà tutto e chiede tutto

«Mentre usciva per mettersi in viaggio, un tale gli corse incontro e, gettandosi in ginocchio davanti a lui, gli domandò: “Maestro buono, che cosa devo fare per avere la vita eterna?”» (Mc 10, 17).

Quanta impazienza da parte di questo “tale”: corre per avere subito una risposta all’impellente desiderio di salvezza. Quanta pazienza da parte di Gesù che si vede sbarrare il cammino verso Gerusalemme. Come sempre egli è pronto a mettere da parte i suoi progetti per accogliere chi vuole incontrarlo e darli ascolto. Dà così inizio a un dialogo perché quel tale possa esprimersi fino in fondo.

Ne emerge il ritratto di un uomo buono, verso il quale Gesù prova una profonda simpatia. Lo guarda con intensità, penetrando nell’intimo del suo cuore: «fissatolo, lo amò». Come sarà stato lo sguardo di Gesù, cosa sarà stato vedersi guardato da lui? Un amore attraverso il quale passa tutto l’amore di un Dio. Gesù l’ha amato e atteso da tutta l’eternità; finalmente è giunto il tempo nel quale può guardarlo negli occhi e fargli sentire quanto lo ama.

Un amore esigente, quello di Gesù, dà tutto e chiede tutto: «Và, vendi quello che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi». Può esserci un amore di predilezione più grande di quello che chiama a seguire Gesù? Ogni uomo è oggetto d’un amore di predilezione, ognuno davanti a Dio si sente unico, ognuno è chiamato a seguire Gesù.

Sono tanti i modi di seguire Gesù. Quello che Dio, da tutta l’eternità, aveva pensato per quella persona corsa incontro al Maestro era lasciare tutto e darlo ai poveri. Ne avrebbe avuto in cambio «un tesoro in cielo». La ricchezza è un fardello troppo pesante, impedisce di spiccare il volo. Poteva, quel “tale”, aspettarsi promessa più appagante? Non avrebbe dovuto attendere di salire al cielo; il tesoro l’avrebbe ricevuto subito: seguire Gesù, stare con lui, che è il vero tesoro.

Quel tale se ne andò triste. Triste rimase anche Gesù, deluso del rifiuto dell’offerta d’amore. Un velo di tristezza si posa su tutti i discepoli. E cala il silenzio. Pietro prende allora la parola, quasi per rincuorare il Maestro: «Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito». Un’affermazione semplice, offerta con sincerità. Una costatazione, senza pretesa. Nonostante tutto, sembra dire, qualcuno ti segue. Noi non avevamo tanti beni come questo tale che se n’è appena andato, non eravamo ricchi, eravamo semplici pescatori, eppure quel poco che avevamo, barca e lavoro, casa e famiglia, l’abbiamo lasciato per seguirti. Quello sguardo intenso d’amore lo hai rivolto anche a noi, abbiamo sentito che ci amavi, personalmente, e che ci chiamavi. Non abbiamo potuto resistere al tuo sguardo, al tuo amore, alla tua chiamata.

«Gesù gli rispose: “In verità vi dico: non c’è nessuno che abbia lasciato casa o fratelli o sorelle o madre o padre o figli o campi a causa mia e a causa del vangelo, che non riceva già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi, insieme a persecuzioni, e nel futuro la vita eterna» (10, 28-30).

Quando mai Gesù si è lasciato vincere in generosità? Il tesoro promesso all’uomo che se n’è andato è lo stesso che è riservato a chiunque è chiamato a lasciare tutto per seguirlo. Adesso non parla più, come prima di un tesoro “in cielo”. Il tesoro lo si può possedere già da adesso. Vale cento volte più di quanto si è donato. Che banca quella del Signore: l’interesse del cento per uno! Che affare, che promessa… In più ce n’è anche per l’eternità.

Nelle sue parole si può tuttavia notare una asimmetria. All’elenco di ciò che si lascia corrisponde perfettamente ciò che si riceve, centuplicato, ad eccezione del padre. Mentre a chi lascia fratelli o sorelle o madre se ne promettono cento altri, Gesù non dice niente riguardo al padre. Non promette cento padri. Allora nessuna promessa a chi lascia il padre? La più grande di tutte, la stessa già fatta a tutti i suoi discepoli. Gesù non dà cento padri, ne dà uno solo… ma che padre! “il” Padre, quello celeste. Come per Francesco d’Assisi: “Non più padre Pietro Bernardone, ma Padre nostro che sei nei cieli”.

In mezzo alle promesse ci sono tuttavia anche le persecuzioni: “Cento volte tanto… insieme a persecuzioni”. Anche questa è una promessa? Forse è semplicemente una costatazione. Attesta che, pur nella gioia di ricevere il centuplo, siamo pur sempre… in cammino. Dobbiamo ancora affrontare prove e difficoltà. La meta non è ancora raggiunta, ci sta davanti; soltanto alla fine entreremo nella pienezza della gioia.

Ma leggendo attentamente, anche quell’accenno alle persecuzioni forse possiamo considerarlo come una promessa. E se Gesù davvero ci promettesse di acconsentire a farci condividere la sua passione e la sua croce? Non a caso la promessa del centuplo si colloca in mezzo agli annunci della sua passione e morte, quando chiede ai discepoli di seguirlo prendendo su di sé la propria croce, con lui e come lui. Non c’è discepolo da più del maestro: «Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi» (Gv 15, 20).

È proprio una grande promessa quella di prenderci con sé nel suo cammino di morte e di vita, di concederci il dono di stargli accanto nella Passione, di essere come lui. Può sembrare una pazzia, eppure i martiri hanno fatto questa pazzia e si sono sentiti onorati di poter dare la vita per lui, con lui, come lui. «Io cerco colui che è morto per noi, voglio colui che per noi è risorto. (…) Lasciate che io imiti la passione del mio Dio», scriveva Ignazio di Antiochia ai Romani mentre stava andando verso la loro città per essere dato in pasto ai leoni.

È così che si invera l’autentico lasciare tutto “a causa mia e a causa del vangelo”. Sì, proprio lasciare tutto, anche la vita, ma per lui, per donarla a lui così come lui ha donato la vita a noi. Così, condividendo la prova e la persecuzione, fino a morire per lui e per il vangelo, si riceve ben altro che il centuplo quaggiù, si riceve “la vita eterna” lassù.

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