Il canto delle traviate

La Traviata, di G. Verdi. Roma, Teatro dell’Opera. Una volta la gente si asciugava le lacrime nel finale della povera tisica ex cortigiana redenta dal sacrificio consumato d’amore per il giovane e superficiale Alfredo, obbedendo alla morale borghese del padre Germont. Oggi non usa più, ben altre cose ci scuotono. Pure, dopo aver sentito tante altre Traviate, la musica verdiana, col privilegio alla dimensione cameristica degli archi, agli accenti personali di clarinetto ed oboe, a certe troncature di ottoni wagneriane, colpisce ancora. Non tutti i personaggi sono scolpiti: Alfredo e Germont non godono di pagine molto ispirate – la nenia Di Provenza il mare, il suol è inopportuna drammaticamente dopo il duetto pregnante tra il padre e Violetta -; ma lei, Violetta appunto, è amata visceralmente da Verdi che ne fa una eroina della capacità di amare. E, se è vero che arte e vita non sono così distanti anzi si intersecano e si influenzano, la storia amorosa e difficile tra Verdi e Giuseppina Strepponi sta sotto le infinite sfumature della donna che il musicista indaga: ce le presenta con l’alternarsi di delicatezza forza e sofferenza che formano l’essenza della sua drammaturgia. Così il canto – ora aereo e impazzito (primo atto), ora accorato (secondo atto) ora metafisico e nostalgico (terzo atto) – diventa il canto di tutte le Violette del mondo: non solo, ma di tutte le donne che soffrono per amore. La capacità verdiana di prendere un personaggio, sbozzarlo con tratti essenziali, si arricchisce qui di sfumature psicologiche, di spiritualizzazione: un tratto che mai più il compositore riuscirà ad esprimere, perché le sue altre donne – la sensuale Aida, la candida Desdemona, la conturbata Amelia eccetera – mancano della forza di autotrascendersi, sia pure a fatica, che possiede Violetta. Verdi insomma dà al dolore un significato purificatore e, una volta tanto, non negativo e inesorabile. Intorno, poi, c’è il bel mondo, coreografico e vuoto, su cui Violetta – oggi potrebbe essere una star in precoce declino – aleggia con una delle musiche ballabili ritmicamente più affascinanti che Verdi abbia scritto; per poi scomparire. Difficile per una cantante- attrice essere la Traviata. A Roma si è puntato sulla star Angela Georghiu, voce elegante, di tessitura estesa, attrice convincente, anche se troppo presa dalla sua ugola per seguire la direzione attenta di Gianluigi Gelmetti, che ha voluto far cantarecom’è giusto – anche l’orchestra (bellissimo il preludio Atto III), su cui primeggiavano oboe, clarinetto e i violini. L’Alfredo di Vittorio Grigolo, bella voce, è appassionato, mentre Renato Bruson veleggia con la sua esperienza decennale. L’allestimento di Franco Zeffirelli è storia, si sa. Lui, Traviata – dice – l’ha sposata otto volte… L’idea del flasback iniziale funziona ancora, come i costumi sontuosi; si aspettano nuovi guizzi… Balletto e coro ben istruiti, per cui lo spettacolo è assicurato. Con la novità della prima in collegamento diretto presso ben 22 sale cinematografiche del Belpaese a celebrare l’anniversario toscaniniano.

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