Il canto della giovinezza

Sto leggendo – tardivamente – Louisa May Alcott, la scrittrice americana resa celebre da Piccole donne e dai successivi episodi, nella recente edizione Einaudi che li raccoglie in un unico volume. In particolare, m’interessa scoprire come mai questi romanzi siano stati tradotti in tutto il mondo, con continue riedizioni. Senonché vengo interrotto sul più bello dall’arrivo di una raccolta di poesie fresca di stampa: l’autore, un amico, l’accompagna con la richiesta di uno sguardo e un giudizio. A questo punto al piacere della lettura subentra una sottile inquietudine: la stessa provata davanti a richieste simili di altri, ispirati da qualche musa. Sarà che in genere questi nuovi poeti usano un linguaggio troppo ermetico per i miei gusti… Meglio lasciare da parte, per il momento, l’ingrato compito di recensore per immergermi di nuovo nelle vicende delle sorelle March. L’introduzione al volume Einaudi mi informa che esse sono scopertamente autobiografiche: Jo è la stessa Louise, che negli altri personaggi ha raffigurato membri della propria famiglia. Curiosamente, la Alcott presenta una doppia faccia, un po’ alla dottor Jekyll e mister Hyde: da una parte l’autrice di romanzi edificanti, prevalentemente destinati ad un pubblico giovanile; dall’altra, la scrittrice incline a storie di sapore gotico e horror (pubblicate con pseudonimo), che tradiscono un carattere ribelle e anticonformista, quasi in reazione alla educazione moraleggiante e un po’ oppressiva ricevuta dal padre, il filosofo e pedagogista Amos Bronson Alcott. Questa tendenza venne però raffrenata e incanalata dal successo strepitoso di Piccole donne, successo che la costrinse a scrivere il seguito del romanzo, fino a totalizzarne quattro: Piccole donne crescono, Piccoli uomini e I ragazzi di Jo. Piccole donne crescono… e cresce pure la mia angoscia. Cosa rispondere, senza deluderlo, all’amico che mi chiede un parere? Già in un caso simile sorse tra me e l’interlocutore quasi una discussione: io sostenevo che la poesia, quella vera, illumina il mistero; l’altro reagiva in nome della libertà d’ispirazione. Evidentemente non era dotato dell’arrendevolezza della Alcott, che cambiò rotta per compiacere ai suoi affezionati lettori. Più che un prodotto artistico o di puro divertimento, a lei interessava offrire, secondo i dettami dell’epoca, un ammaestramento morale ad un pubblico giovanile; evitando però le prediche e i toni melensi e alleggerendo il racconto col suo vivace senso dell’humour. L’elemento di novità è rappresentato soprattutto dal personaggio di Jo, il maschiaccio di casa, irrequieto e anticonformista, che rifugge dalle avventure sentimentali e quando proprio deve legarsi in matrimonio non concede ai lettori, che pure ci avrebbero contato, la soddisfazione di scegliere l’affascinante coetaneo Laurie, bensì un più stagionato professore tedesco di filosofia. Vi si trova espressa una dimensione domestica, un mondo di valori di cui è custode la donna. Non per niente sono ambientati all’epoca della Guerra civile, quando tutti gli uomini validi erano impegnati al fronte ed era compito delle donne salvaguardare la continuità della vita. Le ragazze March, dunque, col loro industriarsi con sacrificio per concretizzare i rispettivi sogni malgrado lo svantaggio di una condizione quasi povera, rappresentano le energie vitali, la speranza indomita della nazione americana. Ma anche a estrapolarla dal suo contesto storico, questa saga al femminile rimane una felice celebrazione dell’adolescenza con la sua carica di positività e di ottimismo e la sua promessa di futuro. Infatti, anche dopo aver visto le piccole donne accasate (non senza perdita del loro smalto, per la verità), essa si popola di giovani leve: i loro figli e i ragazzi della scuola innovativa aperta da Jo col marito, nei quali i personaggi ormai adulti si rispecchiano. Così il cerchio si chiude con la verde stagione degli inizi, il che spiega il fascino di questi classici universalmente letti. Proprio oggi mi viene recapitato un ennesimo diario con dei versi. Quasi mi allarmo… Invece la lirica, che si intitola Itaca, è una vera sorpresa. Ma un nome, quello di Kostantinos Kafavis, spiega tutto: volevo ben dire che finalmente mi era arrivata una ventata di pura poesia! Come quella di cui mi ha gratificato la Alcott, ventata di giovinezza, canto dell’adolescenza dalle mille promesse. LOUISA MAY ALCOTT nacque a Germantown (Pennsylvania) nel 1832 e morì a Boston nel 1888. A causa delle difficili condizioni economiche della famiglia, cominciò giovanissima a guadagnarsi la vita come sarta, governante, scrittrice di fiabe e racconti, per poi dedicarsi all’insegnamento. Nel 1862, durante la Guerra civile, lavorò come infermiera volontaria in un ospedale di Georgetown. L’agiatezza per sé e per i suoi le venne dopo il successo ottenuto da Piccole donne (1868). Seguirono altri fortunati romanzi dalla fresca vena giovanile, racconti e poesie. Donna dalla personalità ricca di fascino, animata da impulsi umanitari e sociali, la Alcott si impegnò in particolar modo per i diritti delle donne.

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