Il Boss è sempre il Boss

Un tempo si facevano concerti per vendere dischi; oggi si incidono dischi per fare concerti. Ma in ogni caso la dimensione live è sempre quella che continua a fare la differenza tra un grande artista e un onesto mestierante. Perché è solo sul palco che si scopre se quel determinato personaggio ne ha, se c’è o ci fa, se vale quel che costa. E in quest’ambito, da decenni ormai, il numero uno è sempre lui, mister Bruce Springsteen: il Boss. Solo i migliori Stones han saputo raggiungere una tale intensità emozionale, lo stesso pathos, la medesima energia comunicativa. A dimostrarlo, se mai servissero ancora conferme, è arrivato questo strepitoso Live in Dublin (Sony-Bmg): due cd + un dvd che catturano questo figlio del New Jersey in una performance degna di venir ricordata tra i suoi vertici espressivi. E dire che di live il Boss ne ha incisi almeno quattro, per non dire della quantità di bootlegs reperibili sui mercati clandestini. Realizzato con la Sessions Band che già l’aveva supportato nella realizzazione del recente The Seeger Sessions, l’album alterna traditional dimenticati, standard memorabili, e qualche composizione autografa. Il fatto che sia stato inciso nella capitale irlandese aggiunge qua e là i gustosi aromi del folk locale, intersecati ora a ruspanti atmosfere country, ora a sapori gospel e rhythm’n’blues prima maniera, ora a quel folk-rock d’autore di cui è da almeno un trentennio maestro e caposcuola indiscusso. È un grande album, grondante di sudore e di passione: il suggello ideale di tutto ciò che da sempre rappresenta la springstinità e i suoi valori, che sono poi quelli dell’America più sana: fedeltà alle proprie radici, fratellanza e sintonia coi sentimenti dei semplici e degli umili, schiettezza, umanità, e passione civile. Tutto ciò trasuda dai testi e dai solchi in modo così sincero e credibile che è quasi difficile distinguere i brani suoi da quelli altrui: il tocco di Springsteen, a cominciare da quella vocalità possente e coinvolgente come nessun’altra, dà ad ogni nota e ad ogni rima l’unicità, e un marchio che l’usura del tempo ben difficilmente riuscirà a scalfire. Live in Dublin non è un album alla moda, è piuttosto figlio della rudezza di album come Nebraska, The Ghost of Tom Joad, e soprattutto del già citato The Seeger Sessions, di cui costituisce complemento essenziale; certo non ha nulla a che vedere con l’approccio pop-rock di Born in the Usa, il suo album più venduto di sempre, pur essendo godile dal primo all’ultimo solco. Un album fatto per durare, e più ancora, per ridare smalto e credibilità ad quel fin troppo favoleggiato e favolistico american dream, sepolto sotto troppe tragedie, e proclami, e bulimie. CD Novità Chemical Brothers We are the nigh (Virgin) I due fratellini chimici spediscono i Kraftwerk dentro i labirinti di Matrix, in una manciata di brani che delle canzoni han solo la durata. Atmosfere ipertecnologiche ed elettroniche dove ritmiche ipertrofiche s’alternano a parentesi più rarefatte ed inquietanti. I respiri, i deliri, e i sospiri del Terzo millennio hanno anche le loro sembianze. Feist The reminder (Universal) Questa ancor giovane song-writer canadese è cresciuta col punk, è maturata col folk-rock (prima al servizio dei Broken Social Scene e poi dei Kings of Convenience), ed è infine approdata ad un’intrigante ipotesi di canzone d’autore, figlia degli aromi acustici di Joni Mitchell, del jazz-rock di Rickie Lee Jones, e della ruvida passionalità di Patti Smith e consorelle. Un talento interessante e promettente.

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