I volti di Tlemcen

Capitale della cultura islamica 2011. Il segreto di una vita sociale ricchissima va letto negli occhi degli abitanti.
Un uomo di Tlemcen

A Tlemcen si arriva da Orano su una moderna autostrada, recentemente inaugurata. Poco meno di due ore di viaggio dalla capitale commerciale dell’Algeria a quella culturale. L’Isesco, l’Organizzazione islamica per la cultura, l’istruzione e la ricerca scientifica con sede a Rabat, in Marocco, ha, infatti, insignito Tlemcen del titolo di “Capitale della cultura islamica per il 2011”.

La città algerina è stata scelta grazie alla sua storia secolare e ai preziosi gioielli architettonici di cui è custode, che ripercorrono ogni epoca della tradizione islamica, sin dalla fondazione del primo emirato di Ben Ifren a opera della tribù degli Zeneti. L’anno di celebrazioni ha offerto l’occasione per realizzare infrastrutture culturali e per avviare progetti di restauro e di valorizzazione del patrimonio. Non sono mancate polemiche e tensioni di diverso tipo, soprattutto a livello di rapporti istituzionali.

 

Ma non sono solo i musei e le nuove costruzioni ad attirare chi capita a Tlemcen. La città offre, di per sé, uno spaccato dell’Islam d’oggi con le sue tradizioni ma anche con i tentativi di proporsi con un volto moderno nell’epoca della globalizzazione, con aspetti di laicità coniugati alla ricchezza della sua multiculturalità. L’attuale presidente algerino Abdelaziz Bouteflika, originario di questa parte del Paese, ha esplicitamente indicato l’obiettivo di Tlemcen 2011: «Promuovere una migliore comprensione dell’Islam da parte degli occidentali e una migliore intesa tra i popoli, lavorare congiuntamente non per creare scontri e caos, ma per costruire dialogo, consenso e scambi verso una grande riconciliazione delle culture umane».

 

Il libro della città

 

Il clima di inizio giugno è, quest’anno, piacevole. Si alternano acquazzoni improvvisi e violenti a schiarite soleggiate con un’aria tersa, che rende i colori e le persone scintillanti. Sono i volti della gente di Tlemcen che colpiscono, sembrano un libro che si apre per chi visita la città. Ce ne sono di tutti i tipi: da quelli di bambini dal sorriso disarmante, che dopo qualche secondo di timore rispondono con immediatezza al cenno di rapporto, a quello di uomini dalla faccia avvizzita e, pure, fiera e serena. Sulla piazza della città un vecchio e un bambino sono immersi in una conversazione degna di un film: chissà cosa si dicono, ma senza dubbio vivono un momento intenso.

I caffè del centro sono il regno degli uomini. Discutono, leggono, parlano e osservano chi passa: è un mondo dove la donna pare non aver posto. Sedersi a uno di quei tavoli cambia la prospettiva. Si vede la gente e la città con occhi “locali”. Non si è più guardati e squadrati, ma si guarda e si osserva lo svolgersi della vita quotidiana, mentre il profumo del caffè crea un sentore di fragranza irripetibile.

 

Di donne, in città, se ne vedono tuttavia moltissime. Ragazze giovani e spigliate, vestite secondo la moda occidentale, altre con il velo che, contrariamente a quanto spesso si pensa in Europa, dà un tocco di eleganza e femminilità, che si esprime nel dono di una dimensione che l’uomo non ha. Molte indossano semplicemente lunghi vestiti, altre hanno il volto parzialmente coperto. Normalmente sono circondate da uno, due o tre bambini e scivolano via quasi per non farsi notare.

Ci sono quelli che pregano: li si vede nella grande moschea al centro della città. Come in tutti i luoghi di culto dell’Islam recitano il Corano, leggendolo da copie che prendono da grossi scaffali all’entrata. Molti sono anziani e si nota in loro la sacralità del momento. In un mausoleo di un grande santo sufi della zona, incrocio un gruppo di donne con i loro bambini. All’interno un custode cammina su e giù recitando, penso, delle frasi del santo. Poi, ci sono le guide: uomini e donne. Sono tante nell’anno di Tlemcen capitale della cultura islamica. Alcune tra le donne hanno il volto scoperto con tagli di capelli all’occidentale, altre col velo: tutte elegantissime e con tratti gentilissimi. Seguono i gruppi con grande interesse.

 

Dietro le porte delle case

 

Ma ci sono anche i lineamenti di chi si nasconde dietro le porte delle case, che, quando si aprono, rivelano misteri affascinanti e inattesi. È quello che mi succede entrando nella casa di una giovane coppia: hanno organizzato una serata con un gruppo di artisti di musica andalusa, tipica della zona. È l’occasione per un assaggio di vita sociale di questa parte di mondo; un assaggio del modo di stare insieme, di celebrare, di fare cultura e, allo stesso tempo, d’intessere rapporti umani. L’ospite, seguace di una confraternita sufi, ispira serenità con il suo tratto gentile e il parlare sempre profondamente spirituale anche quando tratta di questioni più concrete e mondane. Gli invitati, una trentina in tutto, si accomodano nei due vani del salone disposti ad “elle”. Nell’angolo ci sono i cinque artisti, che dopo una brevissima sessione per accordare i loro strumenti, cominciano a suonare una musica coinvolgente. Intanto ognuno continua a parlare con il vicino, comodamente seduto sul divano o intorno ai vari tavolini. Non c’è da preoccuparsi. È così secondo la tradizione del posto.

 

È la vita sociale che si snoda attraverso questi momenti. La musica è un momento conviviale, nel vero senso del termine. Lo si deve vivere insieme. Qualcuno si concentra e si lascia trasportare dal ritmo. Altri, di tanto in tanto, si alzano e danzano al ritmo dell’orchestra. Un ballo di grande armonia, piccoli passi e gesti delle mani. Tutto molto semplice, ma difficile da ripetere se non lo si ha nel sangue.

Intanto la musica continua, con ritmi e note espressione di una cultura di quasi mille anni. Dal XIII secolo, circa, la musica andalusa non è mai cambiata e si tramanda di padre in figlio. Per congedarsi l’orchestra conclude con un pezzo religioso. È un inno al Profeta che dura una ventina di minuti e trasforma la serata in un momento di preghiera. I saluti si susseguono fino sulla strada, nella notte fresca, quasi fredda di Tlemcen, immersa nella pace. Non c’è anima viva per strada. I volti della gente di Tlemcen sono, però, impressi nel cuore.

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