I viaggi dell’uomo

Apre a Genova a novembre una delle rassegne più interessanti del decennio. Il tema del viaggio umano da sé all’infinito.
gauguin

Giacomo Leopardi non è stato un grande viaggiatore. Eppure, pochi come lui nella storia hanno percorso con la mente e la fantasia – cioè, l’anima – un itinerario dentro di sé tale da esplorare l’infinito che è dentro e fuori ogni uomo. Poesie come L’Infinito o La ginestra lo stanno a testimoniare. Leopardi era così grande che il viaggio lo faceva in sé e vi trovava l’abisso: non aveva bisogno di muoversi troppo. Come van Gogh. Disperato e solo, anelante ad un Tutto che mai riusciva a penetrare, il pittore tratteggia nei suoi corvi neri su un campo di grano, tra gialli e neri violentissimi, l’incombere di quel “terror panico” leopardiano che ogni uomo avverte di fronte all’eternamente immenso, che insegue ma gli sfugge. È lo stesso sentimento ad animare le immense tele di Mark Rothko che però viaggia nel cosmo, spirituale prima che reale, con una apertura fideistica verso orizzonti affascinanti, inesplorati che turbano ed affascinano. Le sue tinte spalmate a larghe fasce, i colori roventi densi di luce, sanno di un Eterno che si rivela all’uomo che lo cerca. Così come Friedrich lo trova nelle visioni di una natura selvaggia e Turner in quelle di un oceano tempestoso, di uragani sconfinati in cui l’uomo è piccolissimo, terrorizzato anche, ma non recede dal suo desiderio – che è quello di Ulisse, l’uomo di sempre – di spaziare attraverso tutto il creato. Perché è questa la sua vocazione. Sull’onda europea, gli americani – pittori come Hopper, Church, Bierstadt – percorrono anche fisicamente le loro terre vaste, spesso ancora inesplorate: le fissano a colori larghi, imbevuti di sole anche nelle ombre, terre che segnano la nascita di una nuova nazione, vittoriosa, la loro.

 

Altri artisti viaggiano dall’Europa nei mari del Sud, nella Polinesia. Gauguin esprime la sua ansia, il suo senso del mistero, il sentimento panteistico di tutto ciò che ci circonda in una immensa tela, il cui titolo già dice tutto: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? Opera simbolo di un artista irrequieto, che fugge sempre da ciò che non riesce a trovare. Ma che sente nel primitivo, che per lui si identifica con due colori – il giallo e l’azzurro – la voce di una origine tutta da scoprire. Gauguin viaggia, a differenza dell’ex amico van Gogh, per trovare sé stesso, ma anche la ragione del mondo. L’origine della vita.

 

La galleria delle preziose opere esposte, cui si è accennato finora, che viaggiano anch’esse dal ‘700 al ‘900, è ben più di una mostra. È un percorso offerto anche a noi per mettersi in cammino, come i grandi e veri artisti, verso la verità delle cose. I pittori fin qui citati l’hanno colta in modo frammentario e rapido, come un balenio improvviso fissato a stento poi sulla tela. L’ispirazione infatti è il lampo dell’eterno nello spirito di un uomo.

Gauguin ha viaggiato, toccato mari e spiagge, conosciuto e amato uomini e donne, fissato una natura incontaminata, specchio di un cielo altrettanto trasparente. Ed ha usato una cromia calda, come è la vita. Per questi attira. Ma altri artisti hanno svolto un cammino diverso. Giorgio Morandi nelle nature morte, sempre uguali, ha forato con la tranquillità del ricercatore, l’immobilità apparente dell’esistenza, dolce nelle colorazioni dal rosa al candido. Kandiskij invece ha sentito tumultuare in sé il ritmo dell’universo, dandoci visioni frenetiche e dionisiache come il secondo tempo della Nona Sinfonia di Beethoven: una palpitazione universale espressa in un iride vorticoso di colori e di guizzi.

 

Monet alla fine, nel chiuso del suo giardino di Giverny, contemplerà nelle ninfee le parole stesse – azzurre e bianche – della Parola creatrice dell’universo. Quella che spinge l’Ulisse di sempre – e noi gente del duemila – a voler conoscere, a voler sondare l’esistenza. Non importa se nel chiuso di una stanza o di un giardino come Leopardi o Monet o nei pellegrinaggi transoceanici di u n Gauguin. L’importante è che la ricerca sia vera, sincera e mai superficiale, cioè priva di dolore. Quel dolore che dà spessore a noi stessi, e che ha spinto alcuni artisti anche al suicidio, come Gauguin van Gogh e Rothko, tanta era la loro passione. A volte di troppa luce si può morire.

 

Van Gogh e il viaggio di Gauguin. Genova, Palazzo Ducale. Dal 12/11 al 15/4(2012 (catalogo Linea d’ombra a cura di M. Goldin).

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