I rischi sul lavoro in un mondo che cambia

Si celebra oggi la Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro. In uno scenario radicalmente mutato rispetto al passato, emergono nuove esigenze a cui rispondere.
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«Ogni giorno 6300 persone muoiono a causa degli incidenti sul lavoro o malattie correlate: più di 2 milioni e 300 mila morti all’anno». Per quanto fare del catastrofismo non sia mai utile, la frase di apertura del messaggio di Juan Somavia, direttore generale dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo) per la Giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro, serve a rendere l’idea della dimensione del problema. Una dimensione che, fermo restando che «i costi umani di questa tragedia sono inestimabili», è chiaramente anche economica: «Si stima che il costo dei 337 milioni di incidenti annuali in termini di giorni di lavoro persi, assistenza medica e sussidi sia pari al 4 per cento del Pil mondiale», afferma Somavia nel messaggio.

 

La giornata, ricca di manifestazioni, cortei, conferenze e tavole rotonde in tutto il mondo, quest’anno è stata pensata soprattutto come occasione per rivedere l’approccio alla prevenzione sulla base dei rischi e necessità emersi da settori di recente sviluppo, come la nanotecnologia, la biotecnologia e la chimica. Senza contare poi che il progressivo invecchiamento della forza lavoro e la crescente occupazione femminile hanno posto esigenze specifiche. Per questo l’Ilo ha stilato una nuova lista di malattie professionali, nella quale – tra le altre cose – compaiono per la prima volta i disturbi mentali e comportamentali legati allo stress da lavoro e alla crisi economica, e pubblicato uno studio sui rischi emergenti e le nuove strategie di prevenzione.

 

Ma qual è la situazione in Italia? I dati dell’Inail sembrano confortanti: evidenziano infatti un calo complessivo degli infortuni del 14,5 per cento dal 2001 al 2008, con un -27,6 per cento di casi mortali. Riduzione che riguarda tutti i settori – notevole il – 33 per cento dell’agricoltura – eccetto i servizi, dove si registra una variazione positiva del 3 per cento. A crescere sono invece le malattie professionali, con un + 11,7 per cento dal 2004: motivo in più per prestare particolare attenzione a questo tema, salito agli onori delle cronache soprattutto per le patologie legate all’esposizione all’amianto o a sostanze chimiche. Dati, tuttavia, che non rendono del tutto giustizia alla reale situazione occupazionale: sono infatti basati sui numeri assoluti, che non tengono conto di fattori come la variazione del tasso di occupazione. Inoltre lavoratori atipici e apprendisti non sono registrati nelle stesse statistiche. Si tratta quindi di dati che, per quanto preziosi, non permettono di comprendere correttamente la dimensione del fenomeno negli aspetti specifici. Guardando agli altri Paesi dell’Unione Europea, si vede che l’Italia è sostanzialmente in linea con il resto del continente: su una media 2001-2006 di riduzione degli infortuni del -21,6 per cento, il nostro Paese ha fatto anche meglio, registrando un -25,6 per cento. La prima della classe – ironia della sorte – è la tanto tormentata Grecia, dove gli infortuni sono calati addirittura del 36 per cento.

 

Che il tema sia di attualità, specie in un periodo in cui la crisi economica può far preferire un “illusorio” risparmio tagliando sulla sicurezza, è confermato anche dall’interesse di alcuni settori del mondo accademico. Enrico Bernardinis, laureato lo scorso ottobre in Tecnologie e industrie del legno all’Università di Padova, ha infatti scelto di fare una tesi sugli infortuni nel comparto del legno in Italia. «L’aver lavorato per cinque anni in un’azienda del settore prima di tornare agli studi – spiega Enrico – mi ha sensibilizzato sul tema della sicurezza nei luoghi di lavoro, tanto che sono stato rappresentante per la sicurezza dei lavoratori». L’aver toccato il tema con mano – «se non hai mai visto nessuno farsi male, non ti rendi conto di cosa significa» – lo ha stimolato a fare una ricerca che fosse prima di tutto “imparziale”: «Ho pensato la mia tesi come un’analisi storica e statistica della situazione che potesse essere utile a tutti, dai datori di lavoro, agli operai, a quelle figure professionali che si occupano nello specifico di sicurezza». Un’operazione, quindi, volta «a far crescere la consapevolezza attraverso la storia, cercare una giusta chiave di lettura delle statistiche e stimare quanto gli infortuni costino all’intero comparto». Si sa, però, che in Italia il mondo accademico rimane inesorabilmente diviso da quello del lavoro: «Purtroppo, pur avendo cercato di far conoscere la mia indagine, non ho avuto alcuna risposta al di fuori dell’università. Rimaniamo ancorati al luogo comune del falegname con un dito in meno, senza capire che oggi i problemi e i rischi reali sono altri». Un’ulteriore conferma, dunque, dell’importanza di far progredire con i tempi il concetto di sicurezza, rischio e prevenzione, come la giornata di oggi si propone.

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