I registi amano Rossini?

Pesaro, XXVII Rossini Opera Festival. Domanda d’obbligo, perché i registi a volte sembrano usare la lirica come un palcoscenico per i propri voli più o meno fantastici, facendo divertire – o intristire – il pubblico. Il quale, a dire la verità, va all’opera per sentire, nel nostro caso, Rossini. Soprattutto. Nella nuova sede del BPA Pals (dalla buona acustica e dall’atmosfera più raccolta) Dario Fo ha riproposto la sua regia dell’Italiana in Algeri. Ci ha messo di tutto, commentando, da par suo, la follia organizzata del Rossini ventunenne. Un esempio: ciclisti, calciatori e animali d’ogni specie mentre Isabella canta Pensa alla patria, una cavatina che proprio così esilarante non è.Ma a Fo interessa spaziare. Esprimere sé stesso a tutto spiano. Eppure, la musica di Gioachino è così agile, spiritosa e languida – ma nascostamente satirica – che parla chiaro da sola: più che di commenti spettacolari, avrebbe bisogno di misura. Qualità difficile per un talento vulcanico come il nostro Dario. Costretti ad un dinamismo costante, a sottolineature poco fini, i cantanti hanno dato prova di resistenza fisica e vocale: Marianna Pizzolato, al suo debutto al Rof nel ruolo di Isabella, si conferma attrice espressiva, voce suadente e agile, Bruno De Simone è un perfetto Taddeo, spiritoso con gusto,Marco Vinco un surreale Mustafà di talento, Alex Esposito un Haly misurato ed il Lindoro di Maxim Mironov, anche se ricorda un po’ Florez, è svettante e pulito. Fortuna, per la musica, che sul podio c’è un direttore navigato e puntuale come Donato Renzetti, così che si può assaporare l’ironia fresca del ragazzo Rossini grazie alla sempre brava orchestra bolognese. Le cose vanno meglio nella Cambiale di matrimonio, perché la regia di Luigi Squarzina inventa senza strafare e, nell’unico immenso negozio di stoffe del vecchio Tobia Mill la logora vicenda dell’amore contrastato fra due giovani ci diverte senza stancarci: insomma, la farsa scivola in libertà, anche perché ci sono belle voci (Fabio Maria Capitanucci, Desirée Rancatore, mentre Saimir Pirgu, tenore promettente, forse dovrebbe studiare ancora…) e l’Orchestra Haydn, ricca di giovani, gioca con un gran bel suono che Umberto Benedetti Michelangeli ha l’astuzia di far risaltare. Nel Torvaldo e Dorliska, guidato con vivacità da Victor Pablo Pérez e con un cast pregevole, da Darina Takova a Michele Pertusi a Bruno Praticò, la regia era affidata a Mario Martone, non nuovo al Rof. Dopo la Trilogia mozartiana a Napoli, Martone non poteva non inciampare in Rossini, così parente di Wolfgang. Il suo approccio è quello di uno che il canto lo ama e lo rispetta, nè si sente di sovrapporsi all’ispirazione musicale con la propria. Martone ha usato la fantasia, da buon napoletano, in palcoscenico e in sala. Così il dramma semiserio di amore e morte, si è armonizzato in una felice accoppiata Martone-Rossini: a tutto vantaggio del secondo, come è doveroso che sia. Mario Dal Bello

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