I miei amici “cristiani realizzati”

Articolo

L’oriente è di casa nel suo appartamento romano, tra una profusione di libri e di icone (alcune dipinte da lui stesso). Nel salotto campeggia anche una bella gigantografia di sua moglie fotografata in costume albanese. L’insieme dà l’idea delle radici e degli interessi di questo calabrese di Castrovillari dalla doppia origine, latina e bizantina (la madre era un’italo-albanese di Frascineto). Docente di Storia bizantina presso l’Università di Roma Tre e di Spiritualità orientale presso il Pontificio Ateneo Antonianum, Gaetano Passarelli ha al suo attivo numerose pubblicazioni scientifiche sull’iconografia, la liturgia e la storia bizantina, tradotte in diverse lingue. Direttore della rivista Studi sull’Oriente Cristiano, è anche consultore storico presso la Congregazione per le cause dei santi. Ma sta acquistando notorietà presso il vasto pubblico soprattutto per le sue biografie di cristiani realizzati che si leggono d’un fiato e sono apprezzate anche da lettori poco avvezzi al genere. Professore, come ha maturato questo interesse per l’agiografia? Premetto che anche se la mia produzione è prevalentemente scientifica, amo molto il genere narrativo, tant’è che ho scritto tre romanzi, qualche opera teatrale e delle sceneggiature. Innamorato della figura di san Nilo, anni fa ho scritto una sua vita sotto forma di romanzo per farlo conoscere anche ai non addetti ai lavori: oltre infatti alla biografia scritta da un discepolo e considerata un po’ il capolavoro dell’agiografia italogreca, non c’era altro. Pubblicato da un piccolo editore calabrese, il libro ha incontrato una insolita fortuna. Per me è stata una conferma di come si possa scrivere un testo scientifico e al tempo stesso avvincente. È stata poi la volta della biografia di Tommaso Maria Fusco, fondatore delle Figlie del Preziosissimo Sangue, con cui ho iniziato la mia collaborazione con Città Nuova Editrice. Indubbiamente un conto è scrivere un’opera di fantasia e un conto è doversi attenere al personaggio inquadrato in una data situazione storica. Inoltre per un ricercatore come me, abituato a documentare qualsiasi affermazione, dover fare a meno di questo corredo per non appesantire il testo era quasi una forma di violenza. Oggi ho superato questo disagio. Tuttavia il lettore che ha interessi specifici può trovare a parte bibliografia e note, anche se ridotte al minimo. In genere è lei a scegliere il personaggio o le viene proposto? Solitamente mi è proposto, tuttavia se accetto di scriverne la biografia è perché c’è qualcosa in lui che me lo rende attraente, simpatico. Preferisco misurarmi con personaggi che mi parlano; in un certo senso devono essere loro stessi a farsi conoscere. Sembra un discorso strano, ma trattandosi di penetrare l’animo di qualcuno è ovvio che ci voglia il consenso dell’interessato. Se lui non vuole, il biografo non può scrivere. Per questo qualche biografia può risultare molto travagliata. È il caso di Irmã Dulce, la suora simbolo del Brasile definita l’angelo buono della Bahia. Incaricato dalla nipote Maria Rita, attuale presidente delle sue Opere sociali, mi ero lasciato convincere a visitare, nel Nordest brasiliano, Salvador e i luoghi dove lei aveva operato. Ero tornato pieno di entusiasmo, tanto ribolliva dentro me questa figura. Senonché, al momento di scrivere, mi sono bloccato: io affrontavo un personaggio morto dieci anni prima, viventi la sorella, la nipote, i collaboratori. Questo mio ritratto sarebbe coinciso o no con la persona che loro avevano conosciuto? Senza contare la fatica di ricostruire il quadro storicosociale dell’epoca. Sconfortato, ho scritto a Maria Rita che non me la sentivo. E lei: Se non puoi stare nei tempi, pazienza. Andrai avanti quando ti sarà venuta l’ispirazione. Dopo due-tre mesi di tentativi, ho buttato giù i primi due capitoli e glieli ho mandati per posta elettronica. Ho atteso due giorni sulle spine. La risposta di Maria Rita non poteva essere più incoraggiante: leggendo questi primi capitoli, disse che aveva sentito la voce della zia narrarle la sua vita. Oltre al lavoro di ricerca storica, quale metodo segue come aiuto a calarsi nel personaggio? Ho sempre ammirato Lisia: nello scrivere le arringhe per chi non era in grado di difendersi da solo, questo famoso oratore greco aveva la capacità di adattarsi al cliente di turno. E anch’io cerco di arrivare a questa immedesimazione. Ad esempio, nel caso di don Fusco, vissuto quasi sempre a Pagani e di cui ci restano pochissimi scritti, mi sembrava un’impresa scrivere di lui senza annoiare il lettore e al tempo stesso illustrare la sua spiritualità. Venuto a sapere che era stato un appassionato lettore delle Confessioni di sant’Agostino, ho scelto la forma letteraria del diario. E mi è andata bene, a giudicare dagli apprezzamenti delle sue suore: Ha reso vivo il nostro fondatore!. Come procede nella stesura? Nella prima fase di documentazione leggo soltanto, senza prendere appunti. Fin quando non trovo il bandolo per poter raccontare, non riesco a scrivere nulla. Ma una volta iniziato a scrivere, è come se davanti ai miei occhi scorressero le scene. Difatti scrivo velocissimo (spesso nell’arco di un mese è pronta la prima stesura). Nella seconda fase cerco di articolare meglio il racconto, intervengo sulla lingua con un lavoro di lima. Se si tratta di una biografia documentata, direi scientifica, allora c’è la verifica delle fonti e di tutta la documentazione. E dopo che è riuscito ad entrare nella pelle del personaggio, a farsi suo contemporaneo? Il rapporto che s’è instaurato continua. Lo sento parte della mia cerchia, quando ho bisogno di aiuto per qualche cosa ricorro a lui come ad un amico e familiare che vive accanto a me. Ha un suo metodo per verificare la leggibilità di quanto scrive? Solitamente mi servo di una decina di cavie, di età ed estrazione culturale diversa: da mia suocera novantenne, che ha studiato fino alla quinta elementare ma è una grande lettrice, alle mie figlie studentesse universitarie, ad una amica professoressa molto pignola nell’analisi linguistica, ad alcuni amici specializzati in discipline diverse (storia, teologia, letteratura). Dalle loro reazioni mi faccio un’idea se l’hanno letto volentieri o meno, se hanno cominciato a vedere anche loro il personaggio. Una domanda in quanto consultore storico presso la Congregazione per le cause dei santi. Il papa ha snellito l’iter per elevare nuovi beati e santi agli altari. Cosa pensa del fatto che, di fronte all’attuale ondata di canonizzazioni e beatificazioni, talvolta c’è chi rimane sconcertato? Forse ciò avviene perché la santità è stata vista, talvolta, non come il risultato dello sforzo quotidiano da parte di ogni cristiano, ma come ricerca dello straordinario. Di ciò pensio sia responsabile un certo modo di presentare il santo in passato, come uno da venerare nella nicchia, santificato fin dalla nascita e in tutte le sue espressioni. Mentre non è vero, ci possono essere stati errori e limiti da parte sua in vari campi. Vede, una volta ho rifiutato una biografia che mi era stata commissionata da una congregazione perché la selezione documentaria che mi avrebbe fornito prescindeva da certe problematiche di varia natura in cui il personaggio si era imbattuto, e che a mio avviso bisognava chiarire, pena un suo ritratto incompleto, non a tutto tondo. Mettere in luce il travaglio quotidiano che l’ha portato alla santità può risultare invece molto utile per gli uomini della nostra epoca. Io penso che non bisogna aver paura di mettere in piazza certe cose. E in fondo anche tanto anticlericalismo, secondo me, è stato provocato da questo devozionismo che ha finito per rendere brodosa una fede soda. Le biografie ben scritte, invece, divulgative in quanto al linguaggio ma con una accurata ricerca scientifica a monte, svincolate da certi cliché, possono offrire modelli utili per aiutare a cambiare pian piano mentalità e far pensare il santo in maniera diversa.

I più letti della settimana

Mediterraneo di fraternità

La forte fede degli atei

Edicola Digitale Città Nuova - Reader Scarica l'app
Simple Share Buttons