I lungimiranti

Come si allarga una macchia d’olio nell’acqua, così si diffonde una notizia in un piccolo paese. A Tocancipá, 28 chilometri a nord della capitale della Colombia Bogotà, sta succedendo qualcosa. Se ne parla nelle piazze e nei bar, e sottovoce lo commentano con sospetto pure gli uomini di governo. Accade che un piccolo ed eterogeneo gruppo sta combinando qualcosa che potrebbe avere a che fare con il Paese intero. Li chiamano, non senza ironia, i lungimiranti. Quello che non si riesce a capire, però, è come si ritrovino assieme persone così serie come presidi di scuole, uomini di governo, farmacisti stimato, alcuni ragazzi per bene ed altri ancora. Sono arditi: misconoscendo la terribile situazione di violenza che vive tutta la Colombia – una guerra interna vecchia di più di 35 anni, identificata con termini inquietanti come narcotraffico, droga, guerriglia…, che sembra non avere uno sbocco positivo -, questa gente ha deciso di progettare una visione per il futuro di tutto il comune. Si chiamano infatti Visimiòn Tocancipá 2.025. 2025 come orizzonte: Aguzzare lo sguardo e fissarlo su quell’anno per sognare una città fraterna, industriale, colta, riflessiva e in armonia con la natura. E orientare verso questa meta gli sforzi e coinvolgere ogni settore della popolazione, per far sì che questo diventi una realtà. Questo il progetto. Si può parlare di povertà in infiniti modi. In America Latina quella materiale è un terribile personaggio che si affaccia alle case di più del 90 per cento della popolazione. Ma ci può essere un tipo di povertà peggiore di quella che toglie la capacità di sperare, la voglia di lottare perché il tuo futuro sia migliore del presente? Queste sono le impronte della violenza e della miseria. La necessità di dare una risposta a giovani e bambini che a Tocancipá, paese di 22.500 abitanti, costituiscono il 68,5 per cento della popolazione (15.413 persone sotto i 30 anni) ha dato vita al progetto. Tutto iniziò nell’ottobre 2005, bevendo un caffè con Galo Pozo, uomo di affari ecuadoriano e consulente internazionale, venuto a Tocancipá per conoscere i bambini di Asilo felice, una scuola ispirata alla proposta pedagogica di Chiara Lubich. Galo Pozo raccontava di un bambino poverissimo che andava a scuola percorrendo chilometri a piedi nudi, finché un giorno passò da quella scuola un gesuita che promise di regalare una bibbia illustrata al bambino che fosse stato capace di ripetere la storia che stava per raccontare. Appena il sacerdote tacque, quel bambino, tirandogli la sottana, gli ripeté di botto quello che aveva sentito. Il religioso gli chiese di chiamare i suoi genitori. Per farla breve, quel bambino ottenne una borsa di studio in una delle migliori scuole della nazione e oggi è un professionista con una bella famiglia e una carriera piena di opportunità. Quel bambino sono io – aggiunse Pozo -: perché non potrebbe essere questa la storia di tanti altri? Lì ho capito che la mia vita poteva essere diversa e da allora ho lavorato perché fosse così. Chi l’accompagnava – un gruppo di aderenti dei Focolari – decise di far qualcosa di concreto in questa direzione, certi che il Vangelo può risolvere i problemi umani, e non solo quelli spirituali. Così una sera nel loro centro a Tocancipá invitano una ventina di persone: docenti, commercianti, consiglieri comunali, per una riflessione sulla vita di ragazzi e giovani. Il documento di lavoro distribuito ai partecipanti iniziava con questa affermazione: Si stima che nel 2.025 la popolazione di Tocancipá sarà di 42 mila abitanti. L’indice migratorio è crescente. Ci troveremo dinanzi ad una cittadina multietnica, multiculturale, con un reddito pro capite insufficiente a rispondere alle necessità fondamentali. Ci troveremo, cioè, dinanzi a un paese impoverito. Il nostro territorio sarà saturo di abitanti; cambierà il nostro paesaggio, la flora, la fauna… I nostri figli entreranno a far parte dell’ingranaggio industriale, ma con quali prospettive, con che ruoli? Dove andrà a finire la nostra identità? Diventeremo un quartiere satellite della megalopoli di Bogotà?. Domande provocatorie che hanno risvegliato l’esigenza di lasciare un segno nella storia. Il dialogo dura tuttora e si arricchisce sempre di più. E l’onda avanza. Per prima cosa, si trattava di allargare il cerchio degli interessati al progetto, perché era ormai evidente che un sogno per tutti ha bisogno del concorso di tutti per divenire realtà. Sono stati individuati, inoltre, otto priorità: famiglia, ambiente, forze vive (leaderhip e servizi pubblici), giovani, sanità, industria, educazione. E fraternità, per la presenza di tante etnie, visto che Tocancipá si può definire come una Colombia in miniatura. Per dar spazio a tutti i cittadini, si sono organizzate otto tavole rotonde con una partecipazione al di sopra di ogni aspettativa dei cittadini. In quella dell’ambiente erano presenti tutte persone direttamente responsabili delle decisioni in questo campo; mentre in quella dell’educazione ha coinvolto tutti i docenti del paese assieme ad alcuni studenti e rappresentanti dei genitori, circa 400 partecipanti. Cinque erano le domande poste a tutti: Come esprimeresti la nostra attuale identità? Cosa ti piace di più di Tocancipá? Che cosa ti preoccupa maggiormente nella città? Come vorresti la Tocancipá del futuro? Cosa saresti pronto a dare per riuscire a farla cosi? Seguivano gli interventi di esperti sui problemi emergenti in quel campo e un dialogo aperto. Il tutto sotto lo slogan: Tra il presente ed il futuro di Tocancipá c’è un punto cruciale: noi. Il documento finale, consegnato alla cittadinanza l’11 dicembre scorso, ha raccolto il sentire comune e una diagnosi di quello che è la Tocancipá attuale, proiettato una luce sul futuro. Cifre allarmanti hanno messo allo scoperto le piaghe di Tocancipá: la violenza intra-familiare, il maltrattamento infantile e l’abuso di alcol. La salute, dal canto suo, non viene protetta per la mancanza di politiche pubbliche. Molte industrie, che traggono benefici fiscali dalle leggi municipali, si sono trasferite negli ultimi anni a Tocancipá, cambiando il volto ed i costumi della cittadina, ma tenendosi ai margini delle problematiche della popolazione, senza responsabilità sociale. Questa stessa industria, però, esige invece preparazione tecnica degli studenti, qualificazione della mano d’opera, un’educazione all’altezza delle necessità delle nuove tecnologie, anche perché si tratta quasi sempre di grosse multinazionali. Bastano queste poche pennellate per capire che bisognava stendere proposte a lungo termine che potessero rispondere a queste sfide. Non progetti puntuali che nello spazio di un triennio (quanto dura un periodo di governo municipale) si rivelano solo palliativi. Ed è iniziata così una nuova fase: scrivere una carta di navigazione per tutto il municipio, con proposte e strategie che rispondessero alla voce della cittadinanza e che potessero poi essere realizzate da politici di tendenze anche diverse. Forse la più grande novità sta nei rapporti che si sono stabiliti tra i membri del gruppo di base, superiore di gran lunga allo schema di un semplice comitato esecutivo. E poi la scelta decisa del dialogo come via da percorrere, senza dimenticare il fatto che l’iniziativa è nata dalla società civile. I giovani? Sono stati loro a dire come vogliono la città in futuro, partendo dal dato educativo: il 2007 è iniziato con la scelta di 44 leader tra i 13 e i 20 anni per animare i progetti destinati a ragazzi e giovani. Ovviamente non mancano le spine, che non sono mai mancate. La proposta avanzata di usare la fraternità per costruire la città esige spesso un mutamento completo del modo quotidiano di concepire i rapporti. Trasferire poi questo nuovo stile all’ambito pubblico, amministrativo, di governo, è un altro paio di maniche. Altra spina, il perenne sospetto che dietro a tutto ci fosse il progetto di un nuovo partito politico, cioè la diffidenza dinanzi a qualsiasi cosa che si dichiari senza interessi. E poi il perenne problema del finanziamento dei progetti. Tutto ciò ha creato qualche perplessità nella gente, e taluni hanno parlato persino di una vera e propria crisi della concertazione. Ma la sfida era troppo affascinante per lasciarla perdere. Così, ad esempio, nella campagna elettorale, si è riusciti a mettere i vari candidati allo stesso tavolo, perché ci dicessero la loro visione sulla città. Il dialogo non hanno fatto altro che far emergere nuovi leader da cui dipende il futuro di Tocancipá. Finché, davanti a 2.500 cittadini, il sindaco ha parlato dei lungimiranti dicendo che si trattava di un progetto che gli dava una grande speranza e che quando finirà il suo periodo di governo continuerà a far parte dell’iniziativa. E, come ciliegina sulla torta, ha invitato tutta la cittadinanza a sostenere questo meraviglioso e realizzabile sogno. Per questo tutti gli abitanti, assieme al pane e al latte, portano finalmente a casa la notizia che per nel 2.025 Tocancipá sarà punto di incontro e convivenza pacifica tra etnie e culture. Un comune colto, riflessivo, e industrializzato. Che i suoi giovani saranno motore di sviluppo e trasformazione. Che tante persone verranno a vedere come si vive in una città fraterna ed in armonia con la natura. Che non ci sarà più la povertà…. Dopo il dialogo e la concertazione, ora cominciano a vedersi le prime leggi, i primi frutti.

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