I cda si tingono di rosa

Via libera in Senato al disegno di legge sulle quote rosa: entro il 2015 un terzo dei consigli d'amministrazione dovrà essere composto da donne. Intervista ad Eva Gullo, presidente della E. di C. spa
quote rosa

A mali estremi, estremi rimedi, direbbero alcuni. Su 274 società quotate in borsa, le cariche ricoperte dagli uomini nei consigli d’amministrazione sono il 92 per cento, e in 145 aziende (cioé più della metà) le donne ai vertici non trovano nessuna rappresentanza. La situazione, inevitabilmente, deve cambiare: ecco il perché del nuovo disegno di legge sulle quote rosa.

 

Ad essere colpiti da questa proposta di legge sono i cda delle società quotate in borsa o a partecipazione pubblica, i quali dovranno prevedere un incremento graduale della rappresentanza femminile. Approvato in maniera bipartisan in prima lettura alla Camera, il ddl ha dovuto superare alcune difficoltà al Senato, per poi ricevere l’approvazione mercoledì 9 marzo. L’ultimo passo in aula si è avuto martedì 8, in sede redigente, per la votazione finale: il Senato ha dato il via libera con 203 voti a favore, 14 contrari e 33 astenuti.

 

Le quote rosa diverranno effettive a distanza di un anno dall’approvazione della legge e rimarranno in vigore per i successivi tre mandati dei cda. Si divideranno così: durante il primo mandato, compreso tra il 2012 e il 2015, le donne dovranno essere almeno il 20 per cento, nel secondo mandato, tra il 2015 e il 2018, arriveranno al 33,3 per cento.

 

Si tratterà di una vera e propria rivoluzione per i vertici aziendali: secondo le stime della fondazione Bellisario di cui è presidente Lella Golfo (Pdl), prima firmataria del ddl, oltre tremila donne accederanno ai consigli d’amministrazione delle aziende. Per avere un quadro più chiaro ed esauriente, Città nuova ha deciso di fare alcune domande a Eva Gullo, dal 2009 presidente della società per azioni E. di C.

                                                                                              

Per cominciare ci potrebbe dire il suo parere sulle quote rose nei cda.

«Lo ritengo un fatto sicuramente positivo che attribuisce, in modo ufficiale anche se un po’ forzato, riconoscimento e valorizzazione al contributo professionale delle donne italiane in ruoli di responsabilità. Mi pare fondamentale sottolineare come le quote rosa aprano la strada, negli organi decisionali delle imprese, ad un lavoro congiunto e sinergico dei due generi (saperi e competenze femminili e maschili) ed è questo che sarà certamente un grande contributo per la crescita e lo sviluppo delle imprese». 
 

Sacconi ha parlato, riferendosi a questo ingresso forzato delle donne nei vertici delle società, di rischio di «polli in batteria,quando le cose avvengono in una logica di mercato protetto». Non potrebbe darsi che,questa propagandata spinta in avanti, si trasformi effettivamente in una forzatura anti-meritocratica?

«Credo che sarà compito di quelle donne, che andranno a ricoprire ruoli di responsabilità per competenza e capacità, dimostrare che non sono "figlie minori" di un mercato protetto e di quegli uomini, che potranno lavorare con loro, riconoscere con intelligenza un’opportunità reciproca. Quindi è necessario che la selezione sia combinata al merito e che passi il criterio della trasparenza dei curricula, sia per gli uomini che per le donne».

 

In Norvegia dal 2007 è stata approvata una legge che impone l’obbligo, per le società quotate in borsa, di una presenza femminile del 40 per cento nei vertici aziendali, in Francia, attraverso un percorso graduale, si punta a quota 20 entro il 2014 ed al 40 nel 2017, lo stesso traguardo si sta cercando di raggiungere in Spagna entro il 2015. Forse, vedendo le normative entrate in vigore in alcuni Stati europei, una legge di questo genere risulta effettivamente indispensabile a stimolare la crescita sociale in un settore in cui è tanto squilibrato il rapporto uomo-donna. Ma allora limitare la normativa a tre mandati del cda non potrebbe giocare contro una vera efficacia del provvedimento? 

«Personalmente non penso che l’esercizio di soli tre mandati sia un limite. Sono presidente di una spa che prevede questo nello statuto e, alla luce dell’esperienza personale nel mio lavoro, posso testimoniare che una regola che assicura rotazione e cambiamenti negli organi decisionali fa bene alla crescita e allo sviluppo delle imprese. Ovviamente deve valere anche per il genere maschile, e, soprattutto, speriamo che questa norma possa essere una buona testimonianza da applicare anche in altre realtà: penso alla cosa pubblica e alla politica dove un numero limitato di mandati assicurerebbe il ricambio generazionale e un apporto sempre vivo e costruttivo di nuove idee».

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