Google Earth lotta per l’Amazzonia

Il progetto Eu SoAmazônia (io sono l'Amazzonia) permette di monitorare quasi in tempo reale la deforestazione dell'immensa regione amazzonica, cercando di dimostrare che ognuno di noi ha in qualche modo un vincolo con essa. La città di Paragominas, simbolo della depredazione delle risorse, è oggi alla guida di un movimento ambientalista che ha coinvolto altri 90 distretti comunali amazzonici e può essere un modello riproducibile

«Se sei ciò che mangi, ciò che bevi, che sai, che difendi, se sei ciò in cui credi, ciò che spendi, usi, consumi, ciò che respiri… se tutto ciò che sei è minacciato, allora… chi sei?».

Con questo efficace messaggio, Google Earth presenta Eu Sou Amazônia (io sono l’Amazzonia), un progetto inserito nella sua app e nel suo sito web che permette di monitorare quasi in tempo reale la deforestazione dell’immensa regione amazzonica, la più grande foresta e conca fluviale del mondo (più di 6,1 milioni di km2 tra Brasile, Colombia, Perù, Bolivia, Venezuela, Ecuador, Guyana, Guyana francese e Suriname).

L’ha annunciato sabato scorso Rebecca Moore, la direttrice della piattaforma, nella sede di Google di San Paolo.

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Undici storie interattive sulla regione illustrano altrettanti aspetti (acqua, cambiamento, alimentazione, radici, innovazione, libertà, resistenza, resilienza, avventura, conoscenza), con il duplice scopo di sensibilizzare circa l’incommensurabile patrimonio etno-culturale, naturalistico e turistico e sulle conseguenze della progressiva distruzione delle risorse naturali e permettere agli indigeni – che sono coloro che meglio le preservano e il cui sostentamento dipende da esse – di controllare la depredazione e la deforestazione illegale.

Gli internauti possono accedere a immagini a 360 gradi, a mini documentari, mappe interattive e dati idrografici, oltre a individuare dall’alto le zone dove sta sparendo la vegetazione, per poter poi denunciare gli abusi alle autorità. All’iniziativa ha collaborato fra gli altri il noto regista Fernando Meirelles (The constant gardener – La cospirazione, City of God).

«È una preoccupazione estremamente attuale, che ha a che fare con l’ambiente e con le conoscenze che abbiamo a portata di mano grazie alla tecnologia», ha detto all’agenzia Efe Fabio Coelho, presidente di Google Brasile. «Un progetto meraviglioso, perché più le persone sono consapevoli della situazione, meglio potremo prenderci cura dell’Amazzonia».

Il leader del popolo suruí, il capo Almir Suruí, ha sottolineato il contributo del gigante di Silicon Valley nella diffusione dei problemi della regione e l’apporto del progetto nella formazione delle persone dei popoli originari all’“uso cosciente della tecnologia”.

Suruí ha spiegato la sua tribù, che conta 1.500 persone, è formata da molti giovani che, con l’assistenza di Google, dal 2007 stanno imparando a effettuare rilevamenti e a redigere contenuti per mostrare la vita del loro popolo e dell’Amazzonia al resto del Brasile e al mondo.

Il progetto Eu Sou Amazônia vuole dimostrare che questo polmone del mondo non è solo una selva impenetrabile e misteriosa, ma che ognuno di noi ha in qualche modo un vincolo con essa.

Il 20% dell’ossigeno del pianeta si genera qui. Il Rio delle Amazzoni, con i suoi 7.062 km e i suoi 9 affluenti principali, è fonte del 20% dell’acqua dolce del globo e alimenta una rete navigabile di 25 mila km. Fornisce nutrimento e vita per esseri umani, animali e piante. È infatti l’habitat della metà delle specie viventi del pianeta, del 10% della popolazione animale e dei vegetali spontanei e un terzo dei boschi di latifoglie.

Produttivamente, vi si sviluppano filiere come quella del cacao, della castagna del Pará y del prelibato açaí (frutto dal sapore tra la mora e il mirtillo), oltre che di altri frutti esotici.

L’Amazzonia è la casa di circa la metà della biodiversità del pianeta ed è abitata da circa 27 milioni di persone, tra cui almeno 450 mila indigeni appartenenti a decine di popoli millenari di 5 famiglie linguistiche. Ma è difficile saperne il numero esatto, poiché è pressoché impossibile censire i gruppi “non contattati”, che cioè hanno scelto di non assimilare lo stile di vita della civilizzazione occidentale. Esistono anche alcune decine di comunità agricole “quilombas” (formate da discendenti di schiavi afrobrasiliani) e, nei centri abitati, produttori rurali bianchi che si dedicano all’allevamento estensivo e all’industria estrattiva del legname. Il “dettaglio” è che, per tali attività, abbattono ampi appezzamenti di foresta, trasformandola in prateria. E lo fanno in connivenza con funzionari governativi corrotti o semplicemente in modo clandestino. Impossibile controllare aree così sterminate, specie quando i macchinari di possono nascondersi nella vegetazione in pochi minuti.

Attualmente, si sono persi già 750 mila km2 di foresta nativa, il 60% dei quali sono destinati all’allevamento bovino estensivo. È l’equivalente al territorio della Spagna! E, poiché il brasile è il primo esportatore mondiale di carne vaccina, è probabile che senza volerlo, noi stessi abbiamo contribuito a fomentare la deforestazione massiva mangiando una bistecca.

 

https://earth.google.com/web/@-2.82173954,-62.12152375,-89.68332667a,3750591.53949559d,35y,0h,0t,0r/data=CjYSNBIgN2IxOGI1NTcyYjRhMTFlN2E5MGIxZmI3OTk1MDNkMmUaEEV1IFNvdSBBbWF6w7RuaWE

 

Paragominas ha reagito 

 

Nello stato brasiliano del Pará, la deforestazione è cominciata almeno 60 anni fa.

La città di Paragominas (110 mila abitanti) è un simbolo della depredazione delle risorse. Ha occupato per anni il primo posto nella “lista nera” del Ministero dell’Ambiente, “primato” che gli ha procurato sanzioni economiche.

Ma nel 2008, la società civile e l’amministrazione comunale hanno detto “basta”. Il disboscamento aveva raso al suolo ben 165 km2 del territorio.

Il sindaco Adnan Demachki ha firmato il patto “Città Verde” con rappresentanti della società civile e del settore privato.

Un intenso monitoraggio satellitare, da cui è derivata l’azione dell’Istituto Brasiliano per l’Ambiente e le Risorse Naturali Rinnovabili, organismo esecutivo del federale, e della Polizia, che hanno chiuso decine di segherie e industrie di legname illegali, condannando a morte tale modello economico depredatorio.

Pochi mesi dopo, un tentativo di linciaggio degli agenti della Polizia ambientale e l’incendio del comando, da parte di produttori di legname furibondi è stato il momento più drammatico di questo processo di trasformazione. Il sindaco lo ricorda come “il peggior momento”, dal quale ne è uscito con coraggio: convocando tutte le parti firmatarie del Patto, spiegando con pazienza alla cittadinanza il piano e offrendo un “lascia o raddoppia”: un impegno firmato da tutte le parti sociali da inviare al Ministero, o le sue dimissioni.

Oggi la città ha creato un catasto ambientale rurale, un sistema di monitoraggio della deforestazione, ha stabilito criteri chiari di uso del territorio e messo in atto politiche efficaci di riforestazione sostenibile, con le quali ha ridato lavoro a chi l’aveva perso e ne ha creato di più.

Ora Paragominas è alla guida di un movimento ambientalista che ha coinvolto altri 90 distretti comunali amazzonici. Un caso isolato o un modello riproducibile?

Secondo Paulo Amaral, ricercatore capo dell’azienda di monitoraggio ambiental Imazon, si tratta di «una risposta a lungo termine per fermare la distruzione. Ora possiamo mostrare alla gente che questo modello funziona nel mondo reale. Prima, era solo una teoria».

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