Good Bye, Lenin!

1989, Berlino Est. Christiane è una fervente militante socialista rimasta sola con i suoi due figli da quando, dieci anni prima, il marito è fuggito misteriosamente all’Ovest. Poche settimane prima del crollo del muro (“la più imponente operazione di compravendita di mattoni usati della storia” commenterà il figlio Alex) entra in coma per un malore, svegliandosi solo otto mesi più tardi. Ogni emozione potrebbe risultarle fatale, così Alex decide di ricreare nella stanza dove la donna è costretta a letto un pezzo di quella Germania Est scomparsa a tempo di record dopo il fatidico 9 novembre. Anzi, grazie all’aiuto di un suo amico aspirante regista che gira finti documentari e telegiornali, viene ricreata per Christiane una versione idilliaca del vecchio regime, una società giusta e umana che molti tedeschi dell’Est avrebbero, forse, preferito all’omologazione consumistica avvenuta dopo la riunificazione. La stanza di Christiane diviene così una sorta di rifugio non tanto per i nostalgici del vecchio regime, quanto piuttosto per coloro che sognavano una società migliore e più attenta ai bisogni delle persone. Perché il consumismo che ha invaso la Germania dell’Est ne ha minato alla base radici sociali e identità comune in nome di un sentimento patriottico avvertito più dai politici che non dalla popolazione, tanto all’Est quanto all’Ovest. È bene chiarire che in Good bye, Lenin! ciò che emerge non è un giudizio negativo sul processo che ha portato alla nascita della Germania unita, ma la descrizione lucida e disincantata che affronta, con il tono di una commedia asciutta e ironica, le mille contraddizioni che hanno accompagnato l’ingresso dell’economia di mercato nell’est europeo. Il risultato è un film arguto e piacevole, seppur con alcuni evidenti limiti realizzativi che ne pregiudicano in parte l’efficacia, che senza retorica né ideologismi ci fa rivivere un momento cruciale della storia tedesca ed europea. Regia di Wolfgang Becker; con Daniel Brühl, Katrin Sass, Chulpan Khamatova, Florian Lukas, Maria Simon.

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