Gli antenati e il traffico impazzito

Con un pizzico di umorismo

Mi pare necessario chiedere in anticipo la clemenza dei lettori, per l’eccesso di intellettualismo di questo breve scritto. Tutto prese le mosse qualche giorno fa, mentre imbottigliato nel traffico della capitale, fra i frastornanti clacson, una voce poderosa, espressione di radicate tradizioni, ha inveito ricordando “i morti” del presunto responsabile dell’intasamento.

I morti! Lì per lì mi è sembrata una espressione anacronistica, fuori dal tempo. Ma chi se li ricorda, oggi, gli antenati? A mala pena ci si ricorda il nome del bisnonno, e anche del nonno, a volte, rimane una pallida memoria. E allora, che importa se si impreca contro i morti?

È probabile che questa parolaccia abbia radici nel costume degli antichi romani. Per loro, gli avi erano sacri, e l’identità di ciascuno era tanto più forte quanto si poteva risalire indietro con gli antenati. I romani, dunque, non scherzavano sulle tradizioni. Ci tenevano, eccome. Di qui la parolaccia, che doveva essere un insulto serio.

Eppure, l’amore per le tradizioni non era uno strumento per escludere gli altri popoli e le altre culture. Il mondo romano era multietnico e multiculturale, un impero in cui si poteva accedere alle cariche più alte provenendo da luoghi anche distanti da Roma. Erano tanto aperti agli altri quanto amanti delle loro tradizioni. Le cose non confliggevano. Bei tempi!

 

La risposta dell’autista colpevole è stata quanto mai rapida: «Di tuo nonno». Misteriosa come risposta, anche se frequente. A pensarci bene, però, i romani dovevano avere un’idea alta di giustizia sociale. Se uno era nobile, non manteneva per sempre i privilegi di questo rango. Ogni tre generazioni, infatti, la cosa poteva essere rimessa in discussione, se non ti confermavi degno di quel livello (la famosa dignitas romana). Quindi, prendersela col nonno significava riuscire a cogliere cinque generazioni di disgraziati: la tua fino a tuo nonno, quella di tuo nonno fino al suo. Geniale!

Rimane il rimpianto per una società di allora in cui la mobilità fra le posizioni e le cariche era ben più aperta di oggi.

Il traffico finalmente si sblocca e, mentre sto per ripartire, ecco l’intuizione: quale formula userebbe un romano di duemila anni fa? Non c’è dubbio: «Aoh, Caligola ha fatto scuola!». L’interpretazione mi rimane in gola: non sarà una velata critica alla nostra politica?

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