I giornalisti possono avere convinzioni

A Lourdes, 300 professionisti dell’informazione cattolica s’interrogano sul senso del loro lavoro. Il bene comune da servire, le storie da raccontare, la verità da cercare

Non mi è capitato molto spesso, nella mia vita professionale ormai non corta, di partecipare a un congresso di giornalisti e comunicatori professionisti in cui per due giorni interi 300 uomini e donne abbiano occupato i loro posti in un anfiteatro senza uscire dall’aula per telefonare, senza lavorare ad altro sui loro computer, senza dare segni di insofferenza. Un caso rarissimo, dovuto al fatto che i presenti erano particolarmente convinti dell’importanza di quell’appuntamento che, guarda caso, aveva come titolo “Giornalismo e convinzioni”. Ad organizzare l’evento è stata la Federazione francese dei media cattolici (Fmc), col suo presidente Jean-Marie Montel, assieme al Dicastero vaticano per la comunicazione, presente con il suo prefetto Paolo Ruffini, e da Signis World, qui rappresentato dalla sua presidente Helen Osman. L’appuntamento, le 23e Giornate internazionali San Francesco di Sales, patrono dei giornalisti, che si era sempre svolto ad Annecy, da due anni si è trasferito a Lourdes per sottolineare la sua nuova vocazione internazionale: ormai il cattolicesimo europeo deve aprirsi all’Africa, all’Asia e alle Americhe, anche per questioni semplicemente numeriche.

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Il fatto è che il giornalismo di uomini e donne con convinzioni precise di vita, in modo particolare religiose, nella nostra Europa laica, in particolare qui in Francia, patria della laicità, sono guardati con sospetto, soprattutto da un certo ambiente culturale laicista che pretende che le convinzioni debbano restare sepolte nel cuore della persona, assolutamente lasciate fuori dal proprio ufficio. Ma il progresso delle scienze dell’ermeneutica, le scienze dell’interpretazione e delle opinioni, è ormai concorde nell’affermare che è praticamente impossibile che un giornalista faccia completamente astrazione dai propri convincimenti più profondi quando scrive un articolo, quando deve elaborare notizie per la pubblicazione. Anche scegliere di dare “notiziabilità” a un fatto, o di non darla, è una scelta dettata dai propri convincimenti, più o meno nobili, più o meno onesti. Anche la scelta di uno stile narrativo, anche la semplice scelta di una foto, più o meno benevola, può essere determinata dalle proprie convinzioni.

Jean Birnbaum
Jean Birnbaum

Nel corso del dibattito e delle lunghe conversazioni è emerso come le convinzioni religiose, nel caso in questione cattoliche, possano al contrario essere stimolo a un giornalismo di qualità, all’onestà dei racconti, alla ricerca della verità, parola delicata ma imprescindibile per chi vuol dar conto della realtà delle cose. Tra i vari interventi, alcuni sono stati di altissimo livello, anche da parte di personaggi non cattolici e non credenti – almeno esplicitamente –, come Jean Birnbaum, caporedattore de Le Monde des Livres, che ha con forza sostenuto la liceità e la bontà professionale di un «giornalismo della speranza» che guarda alla realtà con attenzione, curiosità, rispetto e razionalità: «Nel momento stesso in cui scrivete dovete tener conto delle pulsioni negative che sono in voi. Ma non si può non porsi la questione: che progetto ho, che proiezioni faccio del mio lavoro, verso dove tendiamo, da dove vengo? Il giornalismo deve poter esprimere una speranza, la capacità di tornare al passato, di mostrare un radicamento, aprendo un orizzonte di senso».

Dominique Potier
Dominique Potier

Stimolante anche quanto detto da un deputato, socialista e cattolico, Dominique Potier, che ha evidenziato un aspetto della responsabilità del giornalista che ha delle convinzioni, cioè quello di non sbattere mai in faccia all’interlocutore, cioè al lettore o allo spettatore, quella che si ritiene essere la verità, o ancor più le proprie convinzioni. È l’arte della parabola da raccontare, del suggerire, del portare il lettore a tirare delle conseguenze. Un atteggiamento oggi necessario più che mai in un contesto, come quello francese, in cui l’intera categoria dei giornalisti è presa a mal partito dalle contestazioni dei gilet jaune, che accusano la stampa di essere asservita a quei poteri forti che hanno sfruttato e impoverito la classe media francese, che in fondo è più della metà della popolazione. Per riacquistare credibilità, i giornalisti in questo momento hanno un assoluto bisogno di ritrovare la qualità del giornalista vero: l’onestà, il rispetto della persona e dei fatti, la libertà reale della scrittura secondo coscienza, il disinteresse assoluto, la voglia di capire. In una parola è necessario che i giornalisti ritrovino o trovino il servizio alla verità, sapendo che il loro mestiere può costruire o distruggere la coesione sociale. Tutte qualità che, in fondo, sono quelle che, guarda caso, ha mostrato con la sua vita colei che a Lourdes è venerata, cioè Maria di Nazareth.

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