Giappone, cambia l’imperatore

L’imperatore Akihito lascia il suo trono in favore del figlio Naruhito. È stata necessaria una legge per consentire l’abdicazione. È lontano, ormai, il tempo del “figlio del sole” di natura divina
. EPA/KIMIMASA MAYAMA

Forse l’immagine più significativa dell’imperatore Akihito, che ieri ha lasciato il trono del Sol Levante, è quella rimbalzata nei media del mondo intero, all’indomani del terribile tsunami che ha colpito la cittadina di Fukushima nel 2011: inginocchiato con l’imperatrice Michiko accanto agli sfollati della terribile catastrofe, vicino alla sua gente come mai prima aveva fatto un imperatore.

Ad Akihito era toccato raccogliere la difficile eredità del padre Hirohito, che nel discorso di resa alla fine della Seconda guerra mondiale era stato costretto ad ammettere di non essere il “figlio del sole”, in una parola, di non avere natura divina: una dichiarazione sconcertante per il suo popolo, che aveva considerato normale immolarsi in guerra per il Tenno. Asceso all’impero nel 1989, Akihito ha dovuto incarnare il nuovo ruolo previsto dalla Costituzione giapponese, quella di simbolo dell’unità della nazione; non a caso, aveva scelto per l’era che inaugurava il nome Heisei, pace universale, a incarnare il rifiuto della guerra iscritto nella nuova Costituzione.

La fine di quest’era, durata trent’anni, vede il passaggio da un’epoca di continua ascesa economica e prosperità ad un’altra in cui il Paese del Sol Levante deve ridisegnare il suo ruolo in Asia e nel mondo, in un tempo critico per la società giapponese, anche a fronte dell’irresistibile ascesa della Cina.

Per l’abdicazione di Akihito, inedita, dopo due secoli di successione ereditaria, è stato necessario promulgare una legge speciale, su richiesta dello stesso imperatore, che l’aveva motivata con l’età avanzata e i problemi di salute. «Assolvere al mio compito è stata fonte di felicità», ha detto nel breve discorso di commiato, ringraziando il suo popolo.

Tocca ora al figlio Naruhito, che dal primo maggio inaugura l’era Reiwa, perfetta armonia, essere il simbolo dell’unità di un Paese teso fra tradizione e modernità, alla ricerca di una nuova difficile sintesi.

 

 

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