Francesco e i dogmi traballanti dei professori

Seminario in Vaticano sull’urgenza di una economia inclusiva per non ridurre l’essere umano a “scarto”. Dialogo aperto tra economisti “alternativi”, mondo della finanza e società transazionali. Il ruolo di Zamagni, Becchetti e Bruni
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Agli inizi di luglio il sempre sorridente “banchiere dei poveri” Mohammad Yunus lo abbiamo visto comparire in qualche notizia di incontri e premiazioni ufficiali tra Camera dei deputati e Campidoglio. L’economista premio Nobel per la pace ha saputo ottimizzare i tempi della sua presenza a Roma per un seminario di due giorni promosso in Vaticano dal Pontificio consiglio della Giustizia e della Pace costituito come segno dei tempi, nel 1976, da papa Paolo VI.

L’incontro, riservato agli invitati, ha avuto uno di quei titoli che fanno innamorare i giovani studenti di economia che, ignari del pensiero prevalente, ritengono di poter arrivare a conoscere le leve della conoscenza per orientare il destino dell’umanità verso la giustizia: “Bene comune globale. Per un’economia sempre più inclusiva”. Sembra evidente l’intenzione dei promotori di agevolare il dialogo sui punti determinanti che papa Francesco ha espresso, con chiarezza inequivocabile, nell’esortazione apostolica Evangelii Gaudium arrivando a citare, per confutarli, alcuni dogmi della dottrina liberista.

Come ha osservato recentemente Alessandro Roncaglia, professore di Economia politica dell'Università di Roma “La Sapienza”, nel dialogo con Emilio Carnevali sul quortiano economico pagina99, il mondo degli economisti ufficiali sembra impenetrabile ad ogni critica, anche di fronte all’evidenza di certi errori di valutazione e di applicazione di ricette sconsiderate: «C'è tanta gente che sa benissimo che le teorie ispirate al mainstream sono dubbie, che determinati modelli hanno fondamenta assai fragili. Però sa anche che se scrive un articolo impostato in quel modo riesce a pubblicarlo su una rivista, diciamo così, di “serie A”. Un lavoro di tipo diverso, invece, non riesce a pubblicarlo». «E anche se ci riuscisse ben difficilmente verrebbe preso in considerazione dall'economia “che conta”». Per ovviare ad ogni inconveniente si pensa, infatti, di togliere di mezzo ogni tipo di paragone del pensiero “altro” e quindi di abolire l’insegnamento di storia dell’economia. Di contro, una rete internazionale di studenti ha pubblicato un manifesto per promuovere un insegnamento plurale dell'economia. 

L’incontro in Vaticano ha visto direttamente impegnati tre economisti italiani molto noti ai lettori di Città Nuova: Stefano Zamagni, Luigino Bruni e Leonardo Becchetti. Dal loro resoconto si potrà avere una testimonianza diretta del percorso avviato con una composita rappresentanza che include anche esponenti di primo piano della finanza. Il 12 luglio Francesco ha pranzato con i partecipanti al seminario rilasciando una breve dichiarazione per ribadire l’importanza del «riflettere sulla realtà senza paura e con intelligenza» e puntando l’attenzione sul cuore del problema che la crisi ha messo in evidenza: «il riduzionismo antropologico». L’uomo che perde la sua umanità «diventa uno strumento del sistema, sistema sociale, economico, sistema dove spadroneggiano gli squilibri» che conducono all’ «atteggiamento "dello scarto": si scarta quello che non serve, perché l’uomo non è al centro. E quando l’uomo non è al centro, c’è un’altra cosa al centro e l’uomo è al servizio di quest’altra cosa».

Si può, ancora, rimettere pacificamente l’essere umano al centro della società e dell’economia? L’albero si riconoscerà dai frutti. Per il momento è già una fonte di meditazione conoscere il nome e la qualifica dei partecipati alla sessione di “studi di alto livello”, come definita nei documenti ufficiali consultabili su internet. Colpisce vedere i massimi rappresentati del Fondo Monetario internazionale, della Banca Mondiale, della banca d’affari Goldman Sachs, di aziende multinazionali come Ferrero e Nestlè, assieme a economisti “altri” quali Vandana Shiva, Mohammad Yunus, Jeffrey Sachs, il direttore di Oxfam e quello della Caritas internazionale fino a Juan Grabois, l’argentino fondatore del movimento degli esclusi del lavoro, conosciuto per l’azione con i cosiddetti “cartoneros” di Buenos Aires. Per citare sempre l’Evangelii Gaudium (paragrafo 60), la situazione è tale che «la disparità sociale genera prima o poi una violenza che la corsa agli armamenti non risolve né risolverà mai».

Non è un caso o una scappatoia aver dato il Nobel per la pace a chi ha inventato con nuove forme il microcredito della tradizione francescana. Rigettare l’ideologia dell’ «idolatria del denaro» è la strada per uscire dalla cappa dell’’«economia che uccide».Prima o poi.

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