Formalizzate le accuse contro i due marò italiani

Latorre e Girone sono accusati di omicidio, tentato omicidio, associazione a delinquere. Continua l'opera della diplomazia per riportarli a casa
marò latorre e girone

È da poco rimbalzata sui quotidiani italiani on-line la notizia che il commissario Ajith Kumar, capo del Gruppo speciale investigativo (Sit) incaricato delle indagini sull'incidente che ha coinvolto la petroliera italiana Enrica Lexie ed ha visto due marò italiani in stato di fermo ormai da tre mesi, con l’accusa di aver ucciso due pescatori indiani, ha depositato presso il tribunale di Kollam il dossier contenente i capi di accusa.
 
Massimiliano Latorre e Salvatore Girone sono ufficialmente accusati di omicidio, tentato omicidio, azioni che hanno comportato danni e associazione a delinquere. Un quotidiano indiano, Indian Express, ha rivelato che i due sono accusati anche di violazione della Convenzione internazionale per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima del 1988. Si tratta di una regolamentazione che stabilisce la giurisdizione territoriale di uno Stato fino a 200 miglia nautiche dalla costa.
 
L’atto formale era atteso, anche perché ormai vicini alla scadenza dei 90 giorni che la legge indiana prevede per la carcerazione preventiva, prima di concedere la possibilità di libertà dietro pagamento di cauzione. «La nostra indagine è giunta a conclusione – ha affermato M.R.Ajit Kumar – ed abbiamo provveduto alla consegna dell’accusa comprovata da centocinquanta documenti».
 
Fra questi documenti a supporto delle accuse figurano le conclusioni degli esami balistici e delle autopsie sui corpi dei pescatori morti. Proprio questi elementi restano un contenzioso aperto fra le autorità italiane ed indiane, oltre alla questione della posizione della nave, che la Farnesina sostiene essere ormai in acque internazionali e, quindi, non sotto la giurisdizione dello stato del Kerala.
 
Gli sviluppi delle ultime ore, che hanno motivato il richiamo a Roma per consultazioni dell’ambasciatore italiano a New Delhi, Giacomo Sanfelice, hanno ulteriormente aggravato la situazione diplomatica fra i due Paesi. Il sottosegretario agli Esteri Staffan De Mistura ha avuto un incontro tutt’altro che facile con il Primo Ministro dello stato del Kerala, che lui stesso ha definito “un vertice duro”.
 
Un secondo momento importante è rappresentato dalla visita di De Mistura a mons. Soosai Packiam, arcivescovo dei cristiani latini. Trivandrum, capitale dello stato del Kerala, è sede di una seconda diocesi di rito orientale siro-malankarese. I pescatori uccisi erano, tuttavia, cristiani latini. L’agenzia di stampa cattolica UCANEWS rivela che il vescovo indiano ha auspicato che dagli avvenimenti che hanno coinvolto la nave ed i marò italiani, nonché l’uccisione dei due pescatori keralesi, si possano trarre insegnamenti utili per il futuro. Monsignor Soosa Pakiam si è fatto, inoltre, portavoce della comunità di pescatori della sua diocesi, come di tutte le diocesi costiere del Kerala. Ha, infatti, auspicato che «a livello mondiale si possano stabilire nuove regole per la navigazione delle grandi navi nelle zone limitrofe alle acque internazionali. In esse operano piccole barche di pescatori che si spingono sempre più al largo alla disperata ricerca di pesce, divenuto sempre più scarso».
 
Ovviamente il governo italiano ed i suoi rappresentanti hanno ora, come priorità assoluta, la soluzione della questione-marò. Tuttavia, come detto in altre occasioni, la situazione in cui i due militari italiani si sono venuti a trovare dimostra che l’ago della bilancia della diplomazia internazionale è ormai decisamente cambiato e che Paesi come l’Italia ed altre nazioni occidentali sono chiamati ad un’attenta revisione della loro politica estera.
 
Nell’ambito del caso dei due marò, tuttavia, sembra doveroso riconoscere l’attenzione diplomatica con cui la mediazione è stata condotta sia dal ministro degli Esteri, Terzi, che dal sottosegretario De Mistura, oltre che dal corpo diplomatico italiano nelle rappresentanze di New Delhi e Mumbai. Quello che, probabilmente, deve essere ridisegnato sono le modalità di approccio a casi di questo tipo. Lo stesso armatore e proprietario della petroliera italiana ha spinto il comandante a tornare in acque territoriali indiane e al porto di Kochi, determinando l’arresto dei due marò. Con tutta probabilità il timore di perdere in futuro l’accesso ai porti indiani ha determinato una decisione affrettata e superficiale, nella confidenza che tutto si sarebbe risolto in poco tempo. Oggi, con Paesi non solo emergenti, ma ormai affermati leaders sullo scacchiere mondiale, non si possono giocare partite d’azzardo.

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