Foibe, un brutto ricordo

Nella ricorrenza del dramma vissuto dalle popolazioni delle province orientali italiane in fuga dalle armate di Tito.
foibe

 

Nei libri di storia che hanno accompagnato la mia infanzia, adolescenza e gioventù la parola “foiba”, se c’era, non me la ricordo proprio. Eppure quella parola nella storia c’è stata! Il termine foiba (cava, fossa) sta a significare una profonda voragine del terreno scavata dall’erosione dei fiumi nella roccia carsica. Spesso era utilizzata per far “sparire”. Il significato più emblematico e drammatico lo si deriva dalle violenze di massa compiute ai danni principalmente di italiani – ma non solo – in due periodi ravvicinati, nell’ autunno del 1943 e nella primavera del 1945, per lo più commesse dai partigiani del Generale Tito.

 

Principali vittime di un odio irrazionale, furono soprattutto fascisti, collaborazionisti, militari, poliziotti, sacerdoti, ma anche tanti civili, colpevoli di essere nel posto sbagliato al momento sbagliato. Ma tra le vittime si annoverano anche oppositori al regime fascista e comunisti che non accettavano la subordinazione a Tito. Quindi nel mirino vi sono tutti gli oppositori al progetto jugoslavo. Complessivamente le vittime si calcolano in 10 mila. Secondo il Centro Studi Adriatici, i dati sarebbero: “994 salme esumate dalle foibe, 326 le vittime accertate ma non recuperate, 5.643 quelle presunte in base a segnalazioni locali, 3.174 i morti nel campi di concentramento”.

 

Oltre a questo vero e proprio massacro vi è un altro doloroso elemento che è ancora presente nella vita di tantissimi italiani: l’esodo di massa (si valuta da 250 a 350 mila italiani in gran parte autoctoni) dalle province del confine orientale per sottrarsi alla persecuzione – che numerosi studiosi hanno definito “pulizia etnica” – iniziata da Tito. Quest’esodo cambiò radicalmente il connotato della regione giuliano dalmata.

 

Le foibe, unite a pagine non edificanti dell’antifascismo, ai momenti della Repubblica Sociale ed altri passaggi storici del novecento, sono ferite politiche ancora aperte che paiono periodicamente sanguinare da una parte e dell’altra, senza vedere una seria e soprattutto serena via d’uscita. Due cose sono sicuramente positive e alimentano speranza per voltare pagina: la netta presa di posizione del Presidente Napolitano, che, a proposito delle Foibe, ha detto: «Non dobbiamo tacere, assumendoci la responsabilità, di aver negato o teso ad ignorare la verità per pregiudiziali ideologiche e cecità politica il dramma del popolo giuliano-dalmata» Una tragedia – ha spiegato il Presidente della Repubblica – rimossa per calcoli diplomatici e convenienze internazionali».

 

L’altra è la nascita del "giorno del ricordo" delle vittime delle foibe e dell’esodo degli italiani da Fiume, Istria e Dalmazia che cade il 10 febbraio, data del Trattato di pace di Parigi del ’47, grazie alla Legge n. 92/2004.

Per sottolineare ancor di più la forte esigenza di un percorso di unità nazionale, che non vuol significare uniformismo, ma considerare la diversità di ogni tipo, una risorsa fondamentale, piace evidenziare quanto Gabriella Mancini, vittima lei stessa della fuga dalle terre familiari, autrice del libro “Noi figli dell’esodo”, dice su quei momenti «il grande merito dei genitori di quella generazione è non averci trasmesso l’odio, non aver sparso odio».

 

E per fare in modo che la memoria sia sempre viva, specie nelle nuove generazioni, unitamente alle altre pagine “serie” della Storia (Shoah, Hiroshima, ecc.) ben vengano tutte le iniziative possibili. Il Comune di Roma ha avviato un serio percorso educativo con viaggi della Memoria (Auschwitz, Berlino, Trieste e Territori Giuliano – Dalmati, Fossoli, Hiroshima) preceduti da una serie di lezioni e di ricerche che possano dare ai ragazzi una vera e propria full immersion nella storia. La stessa scrittrice Mancini visitando alunni di numerose scuole per raccontare la sua esperienza, dice che «recentemente mi è capitato, in un liceo, di vedere i ragazzi con le lacrime agli occhi».

 

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