Una fascia di sicurezza contro i curdi

Il presidente turco Erdogan lavora, questa volta con gli Usa, per costituire una safe zone attorno al Rojava, la terra dei curdi in Siria. Ipocrisie. E così la guerra continua…

“La goccia scava la pietra” potrebbe essere il motto del presidente turco Erdogan. E come dicevano gli antichi, non per la sua forza, ma per la sua insistenza. Quante volte negli ultimi otto anni Erdogan ha minacciato di occupare militarmente il Nord della Siria perché si sentiva minacciato dai curdi? E l’ha anche fatto, insinuandosi fra le pieghe di quanto russi e statunitensi gli consentivano. Così nel 2016-17 con l’Operazione Scudo dell’Eufrate i turchi si sono presi Jarabulus, Al-Rai, Dabiq e Al-Bab fino a Mambij, e nel 2018 con l’Operazione Ramo d’Ulivo hanno occupato quasi per intero il cantone di Afrin. A Sud-Ovest si estende il governatorato di Idlib, dove, ufficialmente monitorati e di fatto riforniti da una dozzina di punti di osservazione turchi, 40 mila jihadisti e filo-turchi combattono contro l’esercito governativo siriano, che avanza, appoggiato dai russi. In sintesi, degli oltre 800 chilometri di confine fra Turchia e Siria, l’esercito di Ankara si è insediato direttamente o indirettamente nei 350 chilometri più occidentali.

Manca all’appello il controllo dei restanti 450 Km ad oriente dell’Eufrate, da Jarabulus al Kurdistan iracheno (dove ci sono già truppe turche). Le ricorrenti minacce di invasione riguardano questa zona siriana, che ha l’imperdonabile colpa agli occhi di Erdogan di essere la terra dei curdi occidentali, il Rojava (in curdo significa “terra del tramonto”), una striscia Est-Ovest di 450 Km, profonda 70-80, con notevoli risorse naturali, petrolio compreso. «La nostra massima priorità è asciugare il pantano del terrore che c’è nella Siria settentrionale», ha dichiarato esplicitamente Erdogan. Che tradotto in parole povere significa eliminare i curdi dal confine turco. Non importa se ci siano colpe, chi le abbia e quali siano, o che i curdi siano lì perché il Rojava è la loro patria. Così, sembra che finalmente Erdogan abbia coinvolto anche gli statunitensi, che finora avevano armato e sostenuto i curdi del Rojava in funzione anti-Daesh.

Da qui l’annuncio di inizio agosto: ci sarà una safe-zone nel Nord della Siria, gestita da un centro congiunto Turchia-Usa. E quanto sarebbe grande questa safe-zone? Nelle intenzioni di Erdogan, si tratta di una fascia di sicurezza lunga almeno 350 Km e profonda da 30 a 40. Più o meno la metà del Rojava, in cui sono comprese numerose città curde, come Kobane e Qamishli. Una curiosa fascia che servirebbe a garantire la sicurezza degli occupanti.

Detto fatto, una novantina di militari Usa si sarebbero già insediati nella cittadina turca di Akcakale, a ridosso del confine. Secondo il sito Habertürk gli statunitensi starebbero già allestendo il comando congiunto e lo schieramento delle truppe che “controlleranno” la fascia di sicurezza, per allontanare le milizie curde dell’Ypg e prendere in consegna le loro armi pesanti. Sembra quasi che i curdi non possano fare altro che accettare il dato di fatto. Ma è difficile credere che i miliziani curdi, quegli stessi che con il sostegno statunitense hanno sconfitto pesantemente il Daesh, restino a guardare la loro patria tradita e occupata, e i loro parenti e amici dichiarati pericolosi terroristi, incarcerati e fucilati.

L’ambasciata Usa di Ankara parla di una zona demilitarizzata che «diventerà un corridoio umanitario per favorire il rientro dei profughi», aggiungendo che l’accordo comprende anche una «rapida implementazione di misure che vadano incontro alla preoccupazioni della Turchia sulla sicurezza». Detto così sembra quasi che l’operazione voglia promuovere un processo di pace. Ma la realtà è ben altra: lo scopo piuttosto evidente della safe-zone è disarmare i curdi, insediare nella zona un milione o più di profughi per “diluire” la presenza curda nel Rojava, dare la caccia ai terroristi (veri o presunti) eliminandoli o imprigionandoli. E poi tenere sotto controllo a casa loro la popolazione, donne e uomini, anziani e bambini, magari recuperare le spese di occupazione utilizzando le risorse del Rojava e partecipare alla spartizione (pacificazione?) della Siria.

E il governo siriano di Damasco? Hanno deciso che non è legittimo, punto e basta. Poco importa che Assad abbia definito l’accordo turco-statunitense un attacco contro la sovranità e l’integrità territoriale del Paese, e una grave violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite. Non importa cosa faranno Russia e Iran. La guerra può continuare indisturbata.

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