Fare i conti con la corruzione

Intervista al vicedirettore del “Corriere della Sera” Gian Giacomo Schiavi. «La città ha ancora energie positive contro la cattiva politica».
Il consiglio regionale lombardo

Siamo nella prestigiosa sede del Corriere della Sera, in via Solferino a Milano, con il vicedirettore. Guardiamo la città e parliamo delle sue ultime vicende politiche, amministrative ed economiche.
 
La stagione delle tangenti, dei politici corrotti, ritorna. A vent'anni da Tangentopoli, da Mani pulite, è triste constatare che ancora non abbiamo imparato nulla…
«Quella di Mani pulite è stata un'occasione perduta. La rivoluzione è finita in una restaurazione, partiti e istituzioni hanno fatto troppo poco per creare anticorpi al malaffare. La casta si è riprodotta e la politica è stata usata come scorciatoia per arricchirsi, lottizzare, occupare posti e poltrone. Destra e sinistra hanno dato un pessimo spettacolo, lasciando a tutti noi la sensazione della bancarotta etica».
 
Ma cosa succede ai politici lombardi?
«La Lombardia non è immune da questa deriva: nella regione con il reddito pro capite più alto d'Italia, il giro di appalti è una tentazione per politici e faccendieri. Quando in certi posti che contano non c'è morale e spirito di servizio, tutto appare lecito: certi assessori si sono sentiti autorizzati a fare quel che altri, più in alto di loro, facevano: chi i festini con le olgettine, chi gli affari con la P4, chi i traffici con le cosche».
 
Sul “Corriere” ha scritto: «La deriva etica che sporca l'immagine della classe politica nella più ricca regione d'Italia non si può liquidare come una sommatoria di casi personali», e chiedeva un dibattito serio, un momento della verità del Consiglio regionale. Crede sia sufficiente?
«No, non è sufficiente. Ma almeno sarebbe una presa d'atto per uscire da un luogo comune: quello di una Lombardia dove tutto è raccontato sempre come eccellenza. Casi come il San Raffaele, la Maugeri, la Santa Rita o le mazzette per l'autostrada Brescia-Bergamo-Milano ci dicono il contrario. Ci sono illeciti oltre l'eccellenza e c'è un problema di controlli sui fondi pubblici generosamente elargiti ai privati. Undici consiglieri indagati non sono semplici casi personali, mettono in discussione un sistema. Il presidente Formigoni deve rispondere e prendere le distanze da ladri e faccendieri.
«Nel momento stesso in cui i politici chiedono ai cittadini onesti sacrifici e privazioni, si prova solo indignazione e disgusto trovare quasi ogni giorno politici indagati per tangenti, mazzette, favori personali».
 
Dov'è finita l'idea del bene comune?
«L'idea di bene comune per molti  è solo una promessa elettorale. In questi mesi si sono scoperchiate botole nauseabonde che non aiutano la politica a dare di sé un'immagine nobile, di servizio. Io vedo tanti tornaconti personali. Quanto alla dottrina sociale della Chiesa ci vorrebbe un nuovo don Sturzo per chiederne una concreta e tangibile applicazione da parte dei politici che si ispirano ai valori cristiani».
 
I richiami di Tettamanzi e ora di Scola a vivere una politica alta, una vita sobria che fine hanno fatto?
«Il card. Tettamanzi è stato un punto di riferimento in questi anni. Con l'esempio e con i suoi interventi ha indicato una rotta: Milano città aperta e solidale, capitale morale e guida del Paese. È stato l'unico a far sentire la sua voce contro i deliri xenofobi della Lega, uno dei pochi a non lisciare il pelo al vincitore di turno. Ora è il momento di Scola: l'arrivo del papa a Milano gli darà l'investitura piena. Per ora i richiami sono caduti nel vuoto, anche se ha distinto subito il suo ruolo dall'amicizia con Formigoni».
 
Milano ce la può ancora fare?
«Io credo nella forza e nelle risorse di Milano. È nella complessità di città come queste che si trovano le energie positive da contrapporre alla cattiva politica. Milano ha voglia di farcela, anche se questa crisi ci sta tagliando le gambe. Non vedo ancora però nessun Rinascimento».
 
Cosa spera dalla politica e cosa augura ai cittadini ancora una volta "violentati" da questo modo di fare politica?
«Spero che la politica ritrovi un po' di umiltà, che la lezione della crisi metta tutti davanti alle proprie responsabilità, che si torni a dire: cosa posso fare per il mio Paese? Penso ai giovani, troppo penalizzati: senza di loro non si va da nessuna parte. Penso a un progetto educativo che parta dalle scuole, a una società attenta ai più deboli, che pagano due volte il costo della crisi. Auguro a Milano di essere quella di un tempo: la città dei treni che passano e delle opportunità, offerte in base alla competenza e non alla convenienza. Quanto ai cittadini l'augurio è di non arrendersi, ricordando le parole del vescovo Ambrogio: "I tempi sono duri, i tempi sono difficili. Cambiate i tempi e vivrete meglio"».

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