Famiglia: il sorgere dell’amore

Chiara Lubich usava tempo fa un’immagine forte e suggestiva per descrivere la situazione della famiglia contemporanea.

Jesús Morán è copresidente del Movimento dei Focolari. Laureato in Filosofia, è specializzato in antropologia teologica e teologia morale

Chiara Lubich usava tempo fa un’immagine forte e suggestiva per descrivere la situazione della famiglia contemporanea: Maria sotto la croce, Maria desolata che grida il suo abbandono. Sono passati diversi anni da quando la fondatrice dei Focolari ha fatto questa affermazione e la condizione della famiglia continua ad essere la stessa, se non peggio. Peggio perché all’ondata di ideologismi vari, minaccianti la struttura famigliare, si uniscono ora nuovi fenomeni: la migrazione di intere popolazioni (il famoso “sesto pianeta”), la violenza domestica con i femminicidi in aumento, la persecuzione religiosa in varie parti del mondo, l’instabilità lavorativa, le nuove povertà, la proliferazione di modelli inediti di convivenza e di genitorialità, la manipolazione tecnologica della corporeità e della sessualità. Nessun dubbio che lo stesso progresso etico dell’umanità – nonostante le derive ideologiche – e le mutevoli condizioni di vita impongano un ripensamento dei modelli di famiglia, specialmente di quelli non più rispondenti alle esigenze di uguaglianza, libertà e promozione umana, in modo particolare della donna. Si pensi al modello patriarcale di famiglia. O alla situazione della donna in alcune società arabe. Vuol dire che la famiglia come “istituzione dell’amore” ha fatto il suo corso e deve lasciare spazio ad altre forme di convivenza? Ha un futuro la famiglia? E quale famiglia? La soluzione è avere diversi, tanti modelli di famiglia? Indico qualche pista di riflessione, ricorrendo alla fenomenologia dell’amore umano. E, dato che sono cristiano, non mi riferisco a una fenomenologia qualsiasi, ma a una illuminata dalla Rivelazione cristiana. Con ciò non voglio rivolgermi solo ai lettori che condividono la mia stessa fede. Far riferimento a una determinata visione religiosa non vuol dire lasciare da parte l’umano o la ragione, ma attingere a tutte le possibili dimensioni. Come diceva il teologo tedesco e vescovo di Aquisgrana Klaus Hemmerle, «la fenomenologia dischiude il vocabolario dell’esistenza umana, la teologia lo disvela come trinitario». Quale caratteristica del vocabolario umano trova nella Trinità il suo fondamento teologico? Mi sembra chiaro: la caratteristica relazionale. Ecco allora il primo principio che vorrei offrire per un ripensamento della famiglia nel contesto della cultura contemporanea: se è la relazionalità che descrive nel profondo l’esistenza umana, allora bisognerà discernere quale modello di convivenza è più ricco di relazionalità. Questo è l’asse discriminante dal punto di vista della ricchezza antropologica: la relazionalità. Mi hanno sempre fatto una grande impressione le parole della Genesi al capitolo 1 v. 27: «E Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò». Fiumi di inchiostro sono stati versati per commentare questa dichiarazione, di sconcertante e sostanziale brevità. Quanti uomini e donne l’hanno ripetuta lungo la storia? Quanti la sanno a memoria ancora oggi, al di là della loro fede religiosa? L’essere umano è maschio e femmina. In quanto tali sono immagine di Dio. Ripeto dentro di me le parole: «Maschio… femmina… immagine di Dio». Rimango stordito dal mistero: «Il corpo dell’uomo… il corpo della donna… il loro essere personale… Dio». E mi trovo tra le labbra una sola parola: amore. Non ho dubbi che qui si concentri il mistero dell’esistenza, della mia esistenza. Poco prima, nei vv. 3 e 4, il libro della Genesi ci dice che Dio aveva creato la luce e separato la luce dalle tenebre. A me sembra che questo lavoro non fosse davvero concluso fino alla creazione dell’uomo e della donna, fino al sorgere dell’amore. (continua)

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