Europa: La ricetta di Tony Blair

Debbo confessare che avevo avviato questa riflessione sugli ultimi avvenimenti riguardanti l’Unione europea con una sorta di lamento che, facendo il verso al Canzoniere del Petrarca: Italia mia, benché il parlar sia indarno…, sembrava ampiamente giustificare la parafrasi Europa mia…, ecc., ecc. Perché davanti alla débacle del referendum francese sulla Costituzione, incalzato dal verdetto ancor più severo degli olandesi, non era facile, per chi da cinquant’anni ha creduto e si è speso per l’idea di un’Europa unita, sottrarsi allo sconforto. A completare il quadro, ecco subito dopo il prevedibile insuccesso del vertice di Bruxelles sul bilancio e sulle prospettive finanziarie dell’Ue. Chirac e Schroeder, i macchinisti delle due locomotive, che fino a ieri ostentavano il proprio ruolo trainante nell’Unione, avevano fatto una repentina marcia indietro, arroccandosi nella difesa dei più scontati egoismi nazionali. Niente rinuncia, dunque, al ridimensionamento delle politiche agricole; niente ripartizione dei fondi comunitari nel nuovo quadro proposto dall’allargamento dell’Unione, che avrebbe dovuto assegnare ai nuovi paesi dell’est gran parte delle risorse finora godute dalle regioni povere del sud, fra le quali il nostro meridione. Che triste spettacolo, a pochi mesi appena dai tronfi pronunciamenti del secondo trattato di Roma.Talmente sconcertante che, quando per salvare il salvabile alcuni paesi dell’est si sono detti disposti a rinunciare a parte delle loro quote di beneficio, si sono viste spuntare le lacrime negli occhi di qualche europarlamentare più coscienzioso. Anche la Gran Bretagna, in quel contesto in cui nessuno dei fondatori voleva rinunciare a nulla, non ha abdicato alla propria quota di euroegoismo; quello per intenderci che le consente, unico fra i paesi ricchi, di vedere ripianati ogni anno i propri esborsi. S’imponeva davvero una lunga e meditata pausa di riflessione. Ma ecco, proprio dalla Gran Bretagna, subentrata nella nuova presidenza di turno, venire un forte richiamo a rimettersi al tavolo di lavoro. A sentire Tony Blair non è per egoismo che lui stesso avrebbe tenuto appena ieri una posizione così intransigente, contribuendo al fallimento del vertice di Bruxelles, ma per potere ripartire su nuove basi. Ecco allora le sue proposte: destinare meno soldi alle mucche francesi, cioè all’agricoltura che assorbe il 40 per cento del bilancio comunitario a beneficio del 5 per cento della popolazione; più soldi, invece, per aumentare i posti di lavoro. Riformare la politica agricola comunitaria aprirebbe inoltre, per Blair, i mercati europei ai paesi in via di sviluppo. Anche l’Italia, però, dovrebbe rivedere le proprie politiche protezioniste: accettare che i finanziamenti alla ricerca vengano assegnati da un’agenzia indipendente in base al merito. Dovrebbe pure smettere di erogare aiuti a fondo perduto a grandi aziende decotte come l’Alitalia. E via di questo passo. Una cosa è certa: l’Unione ha bisogno di rinnovarsi. Blair nel suo paese ha lavorato con successo, come attesta il consenso confermatogli per ben tre legislature e come dimostra la performance britannica. Si vedrà come riuscirà a passare dalle parole ai fatti anche nel contesto europeo. Dove, naturalmente, dipenderà, oltre che dalla sua abilità di statista, anche e soprattutto dal consenso che gli verrà dai partner maggiori. In verità di parole ne abbiamo sentite troppe, e forse anche dette. I fatti stanno davanti a noi, a smentire i facili entusiasmi. D’altra parte l’idea di un’Europa unita è nata dalle macerie e dalla lezione del Secondo conflitto mondiale. Ma l’ideale di un’Europa unita anche politicamente era solo degli statisti più lungimiranti: ai più importavano maggiormente i promessi vantaggi economici. Oggi l’Europa dei mercanti è andata in crisi, ma si tratta di una crisi politica, non finanziaria. Una crisi che definirei adolescenziale, come quelle che si devono superare davanti alle grandi scelte che impegneranno la nostra vita, le quali richiedono realismo, ma senza abdicare agli ideali che hanno fatto nascere l’Europa. Davanti alle nuove difficoltà, sarebbe sciocco disconoscere i grandi meriti che l’Europa unita ha avuto finora. E in cima alla piramide di questi sta proprio l’euro, che qualcuno sconsideratamente vorrebbe rinnegare, dimenticando quale misera fine aveva fatto la nostra lira quando si trovò in balia della speculazione internazionale. Ora non resta che augurare buon lavoro a Blair, sperando che la ruota delle sorti dell’Unione abbia davvero toccato il fondo, senza dimenticare che non la fortuna ma noi stessi soltanto potremo farla risalire.

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