Eugenio Corti, dalla parte della verità

Scrittore più noto all'estero che in Italia, si è spento stanotte all'età di 93 anni a Besana in Brianza. Suo capolavoro è "Il cavallo rosso", ma è la sua fede e la sua attrattiva per il bello a farne un pittore di un'esistenza profondamente cristiana perchè profondamente umana. Pubblichiamo l'intervista concessa a Città Nuova nel 2004
Eugenio Corti

Personalità di spicco del mondo letterario italiano e straniero hanno avuto per lui apprezzamenti entusiastici. C'è chi lo ha definito addirittura il Manzoni del XX secolo o paragonato al Tolstoj di "Guerra e pace" per la saga lombarda de Il cavallo rosso, il suo romanzo più amato e ristampato. Eppure i suoi best seller non figurano quasi mai nelle classifiche ufficiali dei libri più venduti.

È Eugenio Corti, scrittore fuori d'ogni gruppo e scuola, dichiaratamente cattolico, e pertanto osteggiato da una certa cultura laica. Curiosamente noto più all'estero che non in patria, dove – pur senza il supporto di un grande editore – conta una schiera di lettori affezionati che non cessano di aumentare col solo passaparola. Lo incontro in un tranquillo pomeriggio nel giardino della sua villa di Besana in Brianza, fresco di lettura de I più non ritornano, l'opera che nel 1947 rivelò il suo talento di scrittore- testimone.

Testimone, in questo caso, della tragica disfatta degli italiani sul fronte del Don, in Russia. Eugenio Corti, uno sguardo acuto e limpido, un tratto signorile e insieme modesto, è una figura che un pittore d'altri tempi avrebbe ricercato come modello per qualche gagliardo Padre della chiesa. E come uno di loro, dietro la sua pacatezza Corti cela una tempra di lottatore. Cercare, infatti, di affermare la visione cristiana della realtà in tutti i suoi aspetti contro il dilagante neopaganesimo e le ideologie di morte del nostro mondo occidentale, è la missione intuita nel momento più tragico della sua vita, come lui stesso ricorda: Decisiva per il mio futuro di scrittore fu la promessa fatta alla Madonna la notte di Natale del 1942, durante la ritirata in Russia: se mi avesse tirato fuori da quell'inferno d'odio, avrei dedicato la mia vita all'avvento del regno di Dio.

«Pensavo inizialmente ad una attività in ordine alla carità, all'amore del prossimo, sulla scia di due miei fratelli missionari in Africa. In questo campo però – mi resi presto conto – ben poco avrei saputo fare; io invece volevo diventare scrittore: una decisione presa verso gli 11-12 anni quando, studiando Omero, rimasi folgorato dalla sua capacità di trasformare in bellezza tutto ciò di cui parlava. All'attrattiva del bello coltivata fino alla partenza per la vita militare subentrava ora – ecco il campo in cui cimentarsi! – quella della Verità con la V maiuscola. In effetti, con I più non ritornano mi proponevo di fare non un'opera letterariamente bella, ma una documentazione rigorosa fino allo scrupolo. Invece, contro ogni aspettativa, autorevoli critici ne misero in rilievo anche il valore artistico.

Da questa ricerca anzitutto della verità e non tanto dell'arte fine a sé stessa, sono nati anche i lavori successivi, tutti di alto impegno morale, che gli hanno valso tra gli altri riconoscimenti, nel 2000, il Premio internazionale al merito della cultura cattolica, una sorta di corrispettivo cattolico del Nobel per la letteratura. Opere che – si legge nella motivazione del premio – affrontano con le risorse dell'arte grandi problemi dell'esistenza secondo una visione profondamente cristiana perché profondamente umana. L'humus da cui è venuto su l'Eugenio Corti che conosciamo è una famiglia numerosa (dieci figli) di radicate tradizioni lombarde. I miei genitori erano persone umili, di fede limpida, dedite all'amore del prossimo. Mio padre, partendo dal niente, mise in piedi una industria tessile che arrivò ad avere 1100 dipendenti. La mamma poi era una creatura fatta d'amore! Mi ha ispirato il personaggio di Giulia nel Cavallo rosso.

Una fede, quella di Corti, che pare non abbia mai subìto eclissi: la qual cosa – commenta lo scrittore – un po' mi preoccupa per quando mi dovrò presentare al Padreterno. Perché, a differenza di chi si è dibattuto nei dubbi, io che questo dono l'ho ricevuto non ho attenuanti: per cui dovrò far conto solo sulla Sua misericordia. Dal giardino ci trasferiamo nel suo studio. Corti mantiene un intenso scambio epistolare con i propri lettori (su un intero scaffale della libreria spiccano i raccoglitori dove conserva le loro lettere). Scrivono per ringraziare di aver ricevuto conferme nella fede o per approfondire problemi della cultura di oggi. Certi apprezzamenti sono davvero confortanti, una conferma di non aver sprecato il proprio tempo. Non parliamo poi delle visite. Ricevo soprattutto giovani, studenti, anche a gruppi. Numerosi poi gli alpini…. Corti ha un debole per questa razza impregnata di valori cristiani di solidarietà. Vengo a sapere tra l'altro che a benedire le sue nozze con la signora Vanda è stato don Carlo Gnocchi, l'indimenticabile cappellano degli alpini che dedicò l'esistenza ai suoi mutilatini.

L'ultima sua fatica, ormai prossima alla pubblicazione, è Catone l'antico (me ne mostra l'ultima stesura, insieme alla edizione giapponese del Cavallo rosso). È una vicenda ambientata nel II secolo avanti Cristo, con uno sguardo però al nostro problematico oggi. Catone – si accalora Corti – denunciava la minaccia per il mondo romano costituita dall'influsso culturale greco (non tanto la grande cultura greca quanto la versione decadente rappresentata dall'ellenismo). In maniera analoga, io dico, nella cultura moderna sono presenti germi di dissoluzione che stanno portando alla rovina l'Occidente. Eppure non possiamo farne a meno. Bisogna prendere atto del problema e affrontarlo. Dopo Catone – prosegue -, siccome non sono più in grado di comporre libri come ho fatto finora (sa, alla mia età cominciano a venirmi dei vuoti di memoria), prima di appendere la lira al salice ho in mente di scrivere alcuni racconti, uno dei quali dedicato alla Madonna. Vorrei che ne venisse fuori un vero gioiellino…. Quando gli prometto che pregherò perché forze e ispirazione lo sostengano, ringrazia quasi stupito: forse più che se avesse ricevuto una recensione lusinghiera.

Le opere Tranne quando è diversamente indicato, tutte sono pubblicate da Ares, l'editrice milanese che ha lanciato lo scrittore brianteo. Il cavallo rosso, titolo che evoca il cavallo rosso fuoco di cui parla l'Apocalisse, ripercorre attraverso più generazioni le vicende di una famiglia lombarda sullo sfondo dei grandi eventi che hanno caratterizzato, e in certi casi sconvolto, il mondo dagli anni Quaranta fino al 1974. Un romanzo di quasi milletrecento pagine giunto alla diciottesima edizione e tradotto in numerose lingue. La sua edizione ridotta per la scuola media I ragazzi del '21 (Edumond Le Monnier) ha avuto quattro edizioni. I più non ritornano (1947), cronaca della disfatta del nostro 35° corpo d'armata nella sacca di Arbusov, in Russia: quindici edizioni presso Garzanti, poi Mursia, l'ultima nella prestigiosa collana I libri dello spirito cristiano della Bur. Gli ultimi soldati del re (1994): racconta le vicende poco note dell'esercito regolare italiano che dopo l'armistizio del '43 partecipò con gli Alleati alla guerra di liberazione dai tedeschi.

A metà strada tra narrativa e sceneggiatura, La terra dell'indio (1998) e L'isola del Paradiso (2000) narrano rispettivamente la drammatica odissea degli indios guaranì nelle famose riduzioni gesuitiche in Paraguay e la vicenda degli ammutinati del Bounty rivisitata da una visuale inconsueta: l'aspirazione ad una società edenica frustrata dalla pretesa dell'uomo di fare a meno della Grazia. Due titoli che sono quasi un omaggio di Corti alla nostra epoca della comunicazione audiovisiva. Un discorso a parte meritano la tragedia Processo e morte di Stalin (1960), che svela perché un'ideologia che si pretendeva umanitaria ha compiuto i più grandi massacri della storia, e il saggio Il fumo nel tempio, reazione alla crisi di una parte del mondo cattolico di fronte alle sfide di una cultura atea e individualista.

Un brano da "L'isola di Eugenio": Del resto il mio spazio di fantasia continuo a viverlo anche senza scrivere… C'è un'isola immaginaria nella quale, durante i ritagli di tempo, mentre passeggio in giardino per esempio, cerco di costruire un mondo da cui il male rimane escluso. Poi mi rendo conto che anche lì il male deve essere presente, visto che l'isola è abitata da uomini… Quando arrivo a quel punto, ogni volta rimando il seguito: le presenze del male, infatti, già le tratto abbastanza nel lavoro di tutti i giorni… Così finora (da anni, ormai) la mia isola senza nome continuo a sognarla bellissima, incontaminata. Non

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