Estranei in comunione?

Il matrimonio è l’incontro con l’altro “diverso da me” che rimane tale anche dopo tanti anni di vita comune. Il segreto di un'unione riuscita consiste nel riconoscere e valorizzare la personalità dell’altro,considerando la sua estraneità, fonte di arricchimento interiore. Una riflessione da A cuore aperto (Città Nuova, 2014) di Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn.
Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn ed. A CUORE APERTO_CN 2014

Nel racconto genesiaco della creazione il potere divino crea i primi esseri umani distinguendoli in uomo e donna, derivati dallo stesso ceppo e legati reciprocamente da un vincolo d’amore.

Il successivo allontanamento l’uno dall’altro (si accorgono di essere nudi e si coprono), nonché da Dio (dal quale cercano di nascondersi), e il culmine di tale allontanamento descritto nella storia di Caino e Abele, esprimono lo sforzo del popolo d’Israele di motivare l’allontanamento dell’uomo da Dio e dagli altri esseri umani, a fronte della fede in un Dio creatore amorevole.

Il mondo contemporaneo e la Chiesa sono costellati di allontanamenti, divisioni ostili fra individui, partiti, nazioni. Tuttavia il punto di partenza di questa riflessione non è l’ostilità, ma la reale separazione e diversità fra individui, che precede lo sviluppo di un rapporto ostile o amichevole, potendosi infatti sviluppare in un senso o nell’altro.

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Caratteristica fondamentale della maggior parte delle vite umane, forse di gran parte degli esseri viventi, è la paura dell’ignoto, che nel mondo animale è parte integrante della loro strategia di sopravvivenza.

Tale timore può svolgere un ruolo simile nello sviluppo degli esseri umani, ma poiché questi vengono educati in modi variamente ricchi e diversi tra loro, sono in grado di imparare a gestire il timore e tramutare l’ignoto in noto.

Tuttavia il processo può rivelarsi lento e difficile. Per quanti progressi si facciano, la coltre dell’ignoto rimane imperscrutabile al singolo individuo, e in termini cosmici al genere umano nel suo insieme; ciò vale sia se si include sia se si esclude un Dio creatore.

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Tutti i rapporti umani, si è detto, cominciano fra estranei: fra coniugi, genitori e figli, amici, colleghi di lavoro, vicini. Non solo nascono fra estranei, ma rimangono nel tempo – sempre che continuino – rapporti fra estranei.

Anzi, a essere precisi, la permanente estraneità è una delle condizioni basilari per il prosieguo di una sana relazione. Più intimo è il rapporto e più la vicendevole estraneità emerge per fornire nuove basi a una comprensione reciproca più intima e a un legame più profondo.

Naturalmente questa estraneità che sempre riemerge implica anche un elemento di sfida e, se non si hanno determinazione e capacità sufficienti per trasformare tale potenziale minaccia in un arricchimento reciproco, il rapporto è a rischio.

Troppi fallimenti matrimoniali cercano giustificazione nel mantra “Questa non è la persona che ho sposato cinque, dieci, venti anni fa”. La risposta è: «Ovviamente, non lo è!». Un efficace corso di preparazione matrimoniale dovrebbe sottolineare chiaramente la prevedibilità di un simile cambiamento. Una valida consulenza di sostegno coniugale durante periodi di difficoltà dovrebbe mettere in chiaro che i partner cambiano e continuano a cambiare in modo potenzialmente arricchente, ma che talvolta può rappresentare una seria minaccia.

Senza il cambiamento e l’adattamento delle rispettive personalità, non c’è crescita e, senza crescita, si va incontro solo alla noia, o peggio alla morte. Il segreto di tutti i rapporti soddisfacenti, matrimonio incluso, consiste nella capacità di riconoscere e valorizzare i mutamenti della personalità dell’altro, riconoscendoli come fonte di arricchimento interiore.

Incontrare l’altro, l’estraneo, è in pratica una combinazione fra la proiezione del sé, con le sue caratteristiche e i suoi interessi, e il genuino incontro con l’altro in quanto tale.

Quando predominano le proiezioni, il sé è fondamentalmente introflesso e incapace di riconoscere l’altro come veramente diverso, come un altro non condizionabile e impossibile da possedere. Questa irriducibile diversità è essenziale per l’accettazione autentica dell’altro, nonché per il rispetto e per una vera risposta alle sue esigenze. Significa accettare che l’altro trascende l’io e non potrà mai diventare una sorta di nostro possesso, o estensione del nostro ego, né potrà mai essere strumentalizzato a nostro vantaggio.

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In ogni caso, l’espressione umana potenzialmente più profonda, intima e duratura si ha nel matrimonio e potrebbe essere descritta come “comunione di estranei” o “comunione in un’unica carne”. Siamo in presenza di una definizione che, nella sua dimensione spirituale più profonda, fa emergere e sottolinea la realtà della comunione.

Eppure questa consegna reciproca è inevitabilmente seguita dalla separazione di due esseri distinti che restano individui, entrambi trasformati in parte dall’esperienza di tale unità. Le dinamiche dell’unità e della distinzione non solo riguardo al corpo, ma anche nella vita quotidiana, in casa o al lavoro, seguono il modello dell’autotrascendenza in cui il sé si consegna a un estraneo che diventa ovviamente più familiare a mano a mano che la coppia cresce nella conoscenza reciproca.

Eppure è proprio l’estraneità addolcita dalla familiarità che contribuisce a produrre un affiatamento più profondo traendo profitto l’uno dalle risorse dell’altro, a rinnovare e a sostenere lo spirito di avventura che caratterizza i migliori matrimoni.

 

Tratto da "A cuore aperto. Riflessioni sul significato del matrimonio" a cura di Aldegonde Brenninkmeijer-Werhahn, (Città Nuova, 2014)

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