Erbil, avamposto della pace

Mentre l’Isis continua ad avanzare, seppure non ovunque, la comunità cristiana vive momenti di intensa comunione nella città più vicina ai combattimenti. Le parole di mons. Warduni
Rifugi di emergenza per i cristiani perseguitati in Iraq

Gemma al telefono ha una voce calma, direi a suo modo gioiosa. È nei sobborghi di Erbil, ad Aingawa, dove i cristiani in fuga dalle città conquistate manu militari dalle forze del Califfato islamico si sono riuniti dopo essere fuggiti avendo perso ogni cosa. L’emergenza è costante, dare alloggio e cibo a circa 50 mila rifugiati non è cosa da poco, ma Gemma trasmette quella pace che può venire solo dal Vangelo vissuto: «Passiamo la giornata a cercare soluzioni per le tante emergenze – mi spiega –, una catena di piccoli atti d’amore che vogliono dire rassicurare un’anziana signora, trovare il latte per un bambino, far riposare un uomo ferito. Tutti gli sfollati di Qaraqosh e dintorni, giunti spesso senza nemmeno le scarpe e i vestiti, sono alloggiati nelle scuole, nei conventi, nelle case in costruzione, nelle abitazioni private, persino nelle strade trasformate in tendopoli (vedi foto, ndr). Non c’è nulla di strano, la comunità compie atti di generosità direi totali».

Sono parole come queste che sostanziano quanto affermato da Massimo Toschi su Città Nuova online; i cristiani debbono rimanere in Iraq, in Siria, in Palestina… altrimenti sarebbero i terroristi ad averla vinta. Ma possono restarvi se lo spirito del Vangelo è vivo, se i cristiani di tutto il mondo si fanno vivi e pregano per loro, se la diplomazia fa la sua parte.

È quanto mi spiega mons. Salomone Warduni, ausiliare dei caldei a Baghdad, che non nasconde la sua preoccupazione per la situazione generale: «Si è lasciato passare troppo tempo, si sono sparse troppe armi nella regione (in particolare vendute dagli occidentali, Italia compresa!), non si è capito che alcune forze del Male, che non hanno nulla di musulmano o di religioso, si stavano organizzando per soggiogare l’intera regione. Le avvisaglie c’erano state, ma nessuno le ha raccolte. Bisogna far presto e porre un argine all’avanzata dell’Isis, anche con le armi, se necessario. Perché la comunità internazionale non interviene? Perché l’Onu tace di fronte al genocidio degli yazidi e alla cacciata dei cristiani “infedeli”? Ma chi sono gli infedeli? Speriamo che si riesca a fare un governo forte qui a Baghdad, ora che al Maliki è stato sfiduciato, ma temo che non sarà una cosa breve. Nel frattempo bisogna arrestare l’avanzata dell’Isis».

Mons. Warduni snocciola quindi quelle esigenze che sta testardamente ricordando sin dai tempi della guerra del 2003, che è la vera radice dell’Isis di oggi: «Primo: muoversi quanto prima contro queste forze che distruggono tutto, che l’Onu intervenga! L’intervento Usa deve diventare della comunità internazionale. Secondo: pregare intensamente, Dio non ci abbandona ma vuole che gli manifestiamo la nostra fede. Terzo: continuare a far propaganda per la pace, insistere con tutti i mezzi. Quarto: che la comunità cristiana internazionale si muova, faccia sentire la sua voce, come sta facendo il Vaticano, che in queste ore ha inviato il card. Filoni a Erbil. Quinto: ricordare che, per il rispetto dei diritti umani, i cristiani hanno diritto a rimanere nelle loro terre, nelle quali vivono da 600 anni prima dei musulmani; non arrendersi mai, che i cristiani rimangano in queste terre! Sesto: raccogliere soldi e inviarli attraverso Caritas e nunziature ai cristiani del Nord dell’Iraq che non hanno più nulla».

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