Erasmus+, studiare per sentirsi europei

Dal 1987 al 2022 il programma Erasmus ha coinvolto 13 milioni di europei. Tra questi, circa 720 mila italiani. Nel periodo dal 2014 al 2022, il 96% dei partecipanti ha espresso soddisfazione per le attività di apprendimento svolte grazie all’Erasmus
Studenti universitari Foto Pixabay

L’Erasmus+  è quell’insieme di accordi tra stati europei che da quasi quarant’anni permette agli studenti di fare l’esperienza di studiare all’estero. L’Erasmus viene anche chiamato mobilità proprio perché facilità lo spostamento delle persone, nella convinzione che il contatto tra culture sia una ricchezza per il sapere.

Nel corso della sua storia il programma Erasmus ha visto crescere esponenzialmente i suoi aderenti: dei 13,7 milioni di partecipanti, una metà è partita tra il 1987 e il 2013 (nei primi 27 anni) e l’altra metà negli scorsi 10 anni, nonostante le evidenti difficoltà causate dalla pandemia di Covid-19. Questo perché a partire dal 2014 la mobilità Erasmus è stata completamente rinnovata: ora coinvolge non soltanto le università, ma anche le scuole di secondo grado. A poter partire sono anche gli insegnanti e i tirocinanti.

Come da statuto, un’attenzione particolare è dedicata «all’inclusione sociale, la sostenibilità ambientale, la transizione verso il digitale e la promozione della partecipazione alla vita democratica da parte delle generazioni più giovani». Non è un caso, infatti, che l’esperienza Erasmus sia un’officina di cittadinanza europea.

Dagli anni ’70 le generazioni dell’Erasmus si sono scrollate di dosso una visione dell’Europa chiusa, a compartimenti stagni, in conflitto, per sostituirla con un’Europa aperta e cosmopolita. Perché il principio dei periodi di studio all’estero è proprio questo: abbattere le frontiere geografiche, personali, sociali, culturali. «E da una prospettiva europea, contribuire in modo cruciale a una più forte identità europea e cittadinanza attiva».

Un po’ di dati possono aiutare a renderci conto di quante persone e organizzazioni sono coinvolte in questa grande realtà.  Per il periodo che va dal 2021 al 2027, l’Unione Europea ha stanziato oltre 28 miliardi di euro, l’80% dei quali è gestito direttamente dalla Commissione Europea. Se il mondo universitario è quello che usufruisce della maggior quantità di finanziamenti, il mondo scolastico è quello che propone e partecipa al maggior numero di progetti.

Nel 2022 sono stati attivati più di 26 mila progetti, coinvolgendo 73 mila organizzazioni di Stati membri dell’Ue e di Stati terzi che hanno stipulato convenzioni con il programma Erasmus+. Più di 1,2 milioni di persone hanno partecipato alla mobilità (individuale o di gruppo), tra queste il 13% sono partecipanti con minori opportunità, ovvero che vengono da background svantaggiati, con bisogni particolari o da regioni meno abbienti. È anche interessante notare che nello stesso 2022 il 60% dei partecipanti era costituito da donne. Infatti, la mobilità è marcatamente al femminile sin dagli anni ’90. Questo potrebbe essere spiegato dal numero sempre crescente di partecipazione delle studentesse all’istruzione di alto grado, o alle opportunità Erasmus specificatamente indirizzate a gruppi tradizionalmente sotto-rappresentati. Una serie di ipotesi che la comunità accademica internazionale continua ad analizzare.

Io sono tra quei 720 mila italiani che dall’87 a oggi hanno vissuto l’esperienza Erasmus. Sono partita per Parigi, a 20 anni, nel settembre 2022, e la mia esperienza di studio si somma a tutte quelle che hanno arricchito il vissuto di così tante persone. Un’esperienza di barriere e ostacoli rimossi, di dogane abbattute, di supporto e incentivi per approfittare in poco tempo di tutto ciò che possono offrire un altro Paese, un’altra università e una comunità variegata di studenti.

Prima di partire per l’Erasmus non avevo molto riflettuto sul senso di appartenenza a una nazione, parole come patriottismo o cosmopolitismo suscitavano solo vaghe impressioni. Dopo l’Erasmus mi sono sentita certamente europea, ma con un forte senso delle mie radici. Sì, perché andando fuori ci si rende conto di quanto le terre d’origine ci abbiano formato, reso le persone che siamo. E anche di quanto possiamo essere flessibili, adattabili. Durante il periodo di scambio previsto dal programma Erasmus potevo essere pienamente apolide, cosmopolita, italiana e anche francese. Ci si rende conto che la commistione e il dialogo tra culture sono possibili.

E questo accade non soltanto all’interno della Comunità Europea, ma anche in relazione agli altri continenti. Da una parte, perché le iniziative Erasmus sono aperte anche a Exchange Students di Paesi extraeuropei. Dall’altra, perché una volta che si aprono le frontiere in una direzione, e ci si accorge che la diversità tra le culture non è ontologica ma attraversabile, e che c’è un divertimento e una bellezza intrinseca in questo attraversamento, allora nessun’altra barriera ha motivo di esistere.

Così la mia esperienza Erasmus in Francia è stata tanto francese quanto italiana quanto tedesca, quanto magrebina e coreana. Perché ogni persona che ho incontrato, in classe, nelle serate organizzate per gli studenti stranieri, o nel quartiere dove ho trovato casa, ha segnato un aspetto della persona che sono oggi.

Per godere dell’Erasmus non è strettamente necessario partire. Basta anche solo accogliere, e in questo sono diverse le università italiane in prima linea. Dal 2014 al 2022, 188 mila persone hanno scelto di venire in Italia, di cui 7 mila da aree extraeuropee. Tra le università che hanno accolto i numeri più alti di studenti, l’Alma Mater di Bologna (15,194), la Sapienza Università di Roma (9,095), il Politecnico di Milano (8,301), l’Università di Padova (7,914) e l’Università di Firenze (6,809). Una ricchezza immensa è anche quella di veder venire studenti stranieri nella propria università e poter godere della loro freschezza, poterli conoscere, mettersi al loro servizio e nei loro panni.

Ma quali sono i vantaggi concreti che offre l’Erasmus? Innanzitutto, si può accedere alla formazione di un’università straniera senza pagare le tasse nell’università ospitante, ma continuando a pagarle in quella d’origine. Spesso è prevista una borsa di studio che include un contributo della Commissione Europea e un’integrazione dell’università in cui si è iscritti, borse che tengono conto del costo di vita nel Paese ospitante. Nonostante le borse, però, l’Erasmus richiede uno sforzo economico da parte delle famiglie, soprattutto per quanto riguarda quelle mete dove gli affitti e il costo della vita si fanno sempre più alti. Tra tutte, Londra e Parigi sono tra le città più dispendiose. Per vivere lì certo non bastano i contributi Erasmus.

Per le famiglie, dunque, si tratta di mettere a confronto costi e benefici. Ma non è detto che i benefici riguardino solo il “fare esperienza”. Infatti, come riportato nel Report Annuale Erasmus+ 2022, «gli studenti che hanno completato una mobilità Erasmus+ per studio e per tirocinio hanno aumentato le loro capacità di occupabilità». Questo perché durante il periodo di studio all’estero le capacità tecniche, interpersonali e interculturali possono essere implementate, tanto che «oltre il 40% dei partecipanti a un tirocinio europeo ha ricevuto offerte di lavoro dalle organizzazioni/compagnie ospitanti».

Per accedere alla mobilità è necessario fare domanda di partecipazione e seguire le procedure nell’apposito bando pubblicato ogni anno dal proprio Ateneo. Ogni università stipula contratti di mobilità con altri enti all’estero e all’interno di questa cornice ogni studente può selezionare le mete desiderate.

Insomma, un’occasione a portata di mano e da non perdere in tutte le sue molteplici sfaccettature. Un’occasione per renderci cittadini più consapevolmente europei.

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