Era inevitabile l’accordo Renzi-Berlusconi?

Pubblichiamo la seconda parte dell'intervista ad Alfonso Celotto, ordinario di Diritto costituzionale all’università degli studi Roma Tre, sulla riforma elettorale. Quali dovranno essere le regole del "gioco"?
Matteo Renzi ospite a Porta a Porta con Berlusconi sullo sfondo

Professor Celotto, dopo l’esperienza delle ultime elezioni che ha generato grande instabilità, ci sarebbe un modello consono da proporre per evitare che si vinca senza poter governare?
«La possibilità teorica di sistemi elettorali è variegata per cui è difficilissimo capire quale sia il modello giusto, certo è che la Corte costituzionale ha dato indicazioni precise: non ci deve essere un premio di maggioranza eccessivo o iper-rappresentativo come è accaduto nell’ultima tornata, dove un partito con il 25 per cento dei voti ottiene il 54 per cento dei seggi. L’altra indicazione è quella delle preferenze: una modalità per cui l’elettore indichi il suo candidato o con l’espressione della preferenza vera e propria o con collegi maggioritari».

Non le sembra che il modello proposto da Renzi non tenga sufficientemente conto di queste indicazioni?
«Da quello che leggo, il modello di Renzi dovrebbe ispirarsi al modello spagnolo e quindi con collegi plurinominali piccoli, cioè dove si eleggono pochi deputati con sistema maggioritario e quindi in qualche modo c’è una preferenza. Io potrò scegliere tra tre, quattro persone e non per un listone di quaranta. Naturalmente ora è tutto da vedere perché bisogna scriverlo questo modello, presentarlo in Parlamento. Renzi è il segretario della maggioranza relativa e ha fatto un passo, ha individuato un modello e ha fatto un accordo con una delle controparti più rappresentative».

Era inevitabile questo accordo?
«Le precedenti riforme elettorali sono state fatte dalla maggioranza di governo, attualmente la nostra è una maggioranza di larghe intese che nel frattempo si è sfaldata. L’accordo tra Renzi e Berlusconi resta comunque un accordo di maggioranza anche se innaturale, come quella di questo governo. Fare un accordo tra ex Pdl, ex Forza Italia e Pd è comunque sempre all’interno di una maggioranza di governo. Un accordo con le opposizioni avrebbe significato includere Sel, Cinquestelle, Lega. La Corte ha detto che non si può restare senza legge elettorale in termini molto chiari e ha lasciato un modello: proporzionale semplice a preferenza unica, quello con cui abbiamo votato nell'87. Questo per evitare che senza una legge di rinnovo, e il Parlamento che non si decide ad approvarne una, resti in carica anche 50 anni, ma questo è un paradosso. Il modello in ogni caso c’è». 

Diceva prima dei vari modelli elettorali già in atto nel nostro ordinamento: nessuno è riproponibile a livello nazionale?
«Tutti quelli degli enti locali sono tendenzialmente sistemi maggioritari, che legano la maggioranza a un premio, come per il sindaco. Quello europeo è un proporzionale a collegi molto ampi. Ci si può ispirare, ma nessuno può essere copiato, come del resto vale per il modello spagnolo, tedesco, francese. Possiamo scegliere il doppio turno come in Francia, i collegi piccoli come in Spagna, il Senato federale come in Germania, ma i modelli stranieri non sono come giacche del prêt-à-porter che compriamo e indossiamo».

Alla riforma della legge elettorale viene associata in questi giorni anche una riforma della Costituzione soprattutto sul ruolo del Senato. E sembra che senza l’una non possa avvenire l’altra e viceversa. Lei cosa direbbe?
«Anzitutto sono piani diversi: una questione sono le riforme istituzionali, un’altra è la legge elettorale. Però è vero che sono questioni legatissime perché se ad esempio pensassimo di fare un Senato federale, su modello tedesco, questa è una camera che non si vota, perché vi partecipano i rappresentati delle regioni. Nel modello tedesco i rappresentanti al Senato vengono inviati in rappresentanza del governo regionale in base alle materie in discussione nell’aula e quindi possono cambiare. Se si parla ad esempio di urbanistica le regioni inviano gli esperti di urbanistica, quindi non è una camera stabile e soprattutto non è eletta: è solo di rappresentanza territoriale. Quindi ci vorrebbe una modifica della Costituzione perché in Italia i senatori sono eletti e non inviati».

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