Eleganza di Georges Pretre

Festival Beethoven. Sinfonie nn. 2,3,4,5. Accademia Nazionale Santa Cecilia. Ad oltre ottant’anni, Prêtre avanza veloce e snello verso il podio. Il suo Beethoven non è titanico, retorico o ideologico. Certo, l’Allegro con brio iniziale delle Terza Sinfonia ricorda campagne di guerra, contro popoli ma anche contro il proprio io: ma non è pesante l’uomo che eroicamente cerca il proprio destino, come archi e ottoni si avvicendano a sottolineare e ad accompagnare, forti e morbidi. Così la Marcia funebre, Adagio assai è compianto unanime gonfio di tristezza: ma quanto è bello il suo sollevarsi, poi, verso altezze di luce che gli archi fraseggiano insieme all’oboe, dandoci respiro dopo tanta malinconia. Prêtre lima il fragore dei timpani, le frecciate dei violini, il rimbombo dei corni: il suo è un gioco sfumato, elegantissimo, di sentimenti, un rispetto per la varietà delle emozioni, che nasce da un pensiero ben definito. Accompagnare, come fa Beethoven, l’umanità nel suo percorso drammatico. Per questo, Prêtre sfugge dall’enfasi. Nella Quinta Sinfonia, i famosi tre colpi del destino sono tre colpi, misurati, che si avvitano, si sviluppano veloci, senza esser rapidi, chiari, senza perdere di colore. Il direttore lavora di cesello nell’Andante con moto, dove Beethoven cammina con noi nel viaggio della vita come in un passaggio del Mar Rosso tra muraglie di dolori e di terrori, ma sicuro che la libertà verrà conquistata, e l’ annunciano gli squilli fortissimi dell’orchestra trionfante. Aerea, leggera. Prêtre ha infatti la rarissima dote della misura, dell’eleganza – basta osservare la sua sinistra che canta con gli strumentini – che, prima di esser fatto sonoro, è dato spirituale, pensiero dell’anima. L’orchestra ceciliana, memorabile in quest’esecuzione, lo ha assecondato in pieno. La Seconda sinfonia, con gli echi mozartiani, e la Quarta, brumosa e serena, hanno fatto da controcanto così da far camminare pubblico, compositore e direttore mano nella mano. I WIENER E VERDI VI Festival Internazionale di Musica e Arte sacra. Verdi, Messa da Requiem. Wiener Philarmoniker e Coro dell’Accademia Nazionale di santa Cecilia. Roma, San Paolo fuori le mura. I Wiener affrontano la meditazione verdiana sulla morte con slancio misurato, un equilibrio perfetto fra dolore terrore e ansia di pace, che il suono morbido e mai pesante di ogni sezione (mirabili i legni e i violoncelli) sottolinea con precisione. Daniele Gatti li dirige con esattezza, indugia nei finali, allarga gli stati emotivi, privilegia il lato commosso, sommesso della partitura, sottolineando il dramma senza furori ineluttabili. Lo aiutano un quartetto in ottima forma (Fiorenza Cedolins, Dolora Zajick, Fabio Sartor, Ferruccio Furlanetto) che regala momenti finissimi, come l’Hostias e l’ Agnus Dei, ed il Coro ceciliano, molto delicato. Un Verdi più contenuto, forse più vero.

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