Educare è questione di cuore

Il ruolo delle figure educative, la loro capacità di accompagnare i giovani sono, in questi giorni, uno dei temi al centro dell'attenzione al Sinodo 2018
ANSA/PIERPAOLO FERRERI

Sulla questione educativa abbiamo intervistato Francesca Palamà, consacrata delle Adoratrici del Sangue di Cristo, preside dell’Istituto Preziosissimo Sangue di Bari e docente di Lettere.

Come aiutare i giovani a trovare la loro strada nella vita, a trovare se stessi?
Guardando alle nuove generazioni sento nel cuore tanta speranza e vedo nei loro occhi tanta freschezza che ha bisogno di venire alla luce nella sua totale unicità e originalità. Trovare se stessi è scoprire la propria vocazione, il proprio posto nel mondo e nella società ed essere missione nella Chiesa. È pertanto essenzialmente fare esperienza di Colui che è all’origine della vita e di ogni chiamata: Dio.

“Solo quando avremo le pupille abbacinate per l’attesa che Dio si riveli, e ci rimarranno dilatate perché al suo apparire avremo fatto il pieno della luce, solo allora potremo parlare di Lui” (A. Bello).

È necessario che i giovani, e non solo loro, si lascino incontrare da Gesù perché “solo nella misura in cui fanno una personale esperienza di Cristo, possono comprendere in verità la sua volontà e quindi la propria vocazione” (Benedetto XVI, Discorso ai seminaristi, 19 agosto 2005). Sono da noi, i giovani, aiutati ad incontrare Cristo nella Parola, nella Celebrazione, nella vita delle nostre comunità? Talvolta preoccupati dalle nostre e tante iniziative perdiamo di vista l’Essenziale. Tante cose diamo, ma non ciò per cui siamo chiamati ad essere Chiesa: la testimonianza di Cristo, l’incontro con Cristo, sperimentare Cristo… Ogni vocazione nasce dall’incontro con Cristo e la vita di ciascun uomo o donna cambia, solo così diviene risposta d’amore.

Di che modello di adulti hanno bisogno?
I giovani hanno bisogno di avere accanto autentici adulti e non “eterni giovani” in lotta continua contro gli anni, le rughe e le irresponsabilità.

L’età della giovinezza è un tempo in cui tutto è provvisorio, in divenire, nell’esplosione delle gioie e delle energie. L’età dell’essere adulto, invece, porta con sé il carico dolce di chi un tratto di cammino lo ha già compiuto e, nella ricerca della Verità, pone i successivi passi tra sapienza e profezia. È bello poter essere per loro testimoni credibili del vangelo che ricercano e vivono la gratuità nel fare qualcosa per gli altri senza aspettarsi il contraccambio. Stupirli nel fare noi, gli adulti, il primo passo, nel tendere per primi la mano e nell’anticiparli nel perdono. Occorre perdere tempo con e per loro nell’ascoltare il loro cuore, nel guardare i loro occhi, nel comprendere i silenzi e  i vuoti della loro anima, nel decifrare i linguaggi in codice che spesso ci inoltrano. Sarebbe bello mettersi accanto disarmati di tutto, anche da quelle certezze che hanno inevitabilmente atrofizzato parte del nostro cuore, alimentando l’incapacità di accogliere il soffio dello Spirito.

Alleanza scuola-famiglia: come si realizza?
Rispondere a questa domanda è addentrarci in un tema scottante che il mondo della scuola oggi sta vivendo, intessuto tra limiti e fragilità.

L’alleanza tra scuola e famiglia non è per nulla semplice ma nello stesso tempo essenziale perché la sua assenza ne determina il fallimento di una delle due agenzie educative.

È urgente riconoscere a ciascuno il proprio ruolo nell’azione educativa delle giovani generazioni che brancolano in un buio sempre più fitto, nel vuoto disorientante nell’aver perso il senso della propria identità.

È necessario intrecciare una rete in cui ciascuno possa collaborare a rendere più umano se stesso e gli altri in cui “I CARE”, mi sta a cuore, il bene dell’altro.

Il dialogo può aprire autostrade nella vita delle istituzioni scolastiche e in quella delle famiglie ma ciascuno deve saper perdere qualcosa: la presunzione di sapere. “Educare è questione di cuore” e ogni vita è un dono e un mistero di Dio.

In che modo l’insegnante può aiutare i ragazzi ad affrontare problemi come quello del bullismo e come si può aiutare una classe a essere un ambiente che accoglie, nel quale ci si aiuta e non si emarginano i più deboli o i ragazzi che vengono da altri Paesi?
Non è il singolo insegnante a fare una scuola e a mettere in atto azioni strategiche per debellare il bullismo, realizzando un ambiente sempre più sereno ed inclusivo.

Anche qui è necessario fare squadra. Nella diversità di ciascuno i docenti sono chiamati a saper essere gruppo per una univoca e concorde azione educativa.

Il docente è chiamato a rispondere ad una vocazione vera e propria che si realizza pienamente solo nella comunità scolastica. Ogni tipo di disagio o problema se affrontato insieme può essere opportunità di vita per tutti. Puntando il dito verso l’altro non dimentichiamo mai quello che Dio ha compiuto sin dal principio: non ha demolito ma ha meravigliosamente creato.

 

 

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