E’ di scena il disagio

Voglio andare alla ricerca della coscienza del mondo. Per questo premierò i film più consapevoli del tempo in cui viviamo . Parole di Sean Penn, l’attore-regista americano presidente della giuria, e promessa mantenuta con la Palma d’oro a Entre les murs del francese Laurent Cantet, Gran Premio della Giuria a Gomorra di Matteo Garrone e Premio della Giuria a Il divo di Paolo Sorrentino. Tutti film sgraditi perché parlano dei malesseri della società – il pessimo funzionamento della scuola nel caso di Entre les murs, la piovra gigante della criminalità organizzata (Gomorra), i lati oscuri delle democrazia e il potere gestito con mancanza di trasparenza (Il divo) – e che hanno in comune una frase tratta dai Ricordi di Francesco Guicciardini: Tra il palazzo e la piazza c’è una nebbia folta e fitta. Si parlerà molto di questi film nei giorni a venire e le polemiche non mancheranno. Per il film di Cantet sotto accusa sono le istituzioni scolastiche (tutto il mondo è paese), una burocrazia inefficiente, metodi pedagogici superati, tensioni sociali acuite dalla disparità che si crea in periferie trascurate e isolate dal resto dell’ap parato educativo. Ostacoli contro cui si batte un insegnante che vive il suo incarico come una missione, raccontati con una tecnica a mezzavia tra finzione, inchiesta e documentario. Per quanto concerne i due film italiani, l’espres sione che più di ogni altra sembra accomunarli è quella che risale ai tempi del neorealismo e precisamente a Umberto D. di Vittorio De Sica: I panni sporchi si lavano in famiglia. Lasciando ad altre sedi una discussione di questo tipo e limitandoci all’immediatezza della cronaca, non si può non sottolineare come la Francia sia finalmente riuscita a centrare la Palma dopo 21 anni e come una doppietta italiana mancasse dal 1972, quando nell’elenco dei Palmarès si iscrissero Il caso Mattei di Francesco Rosi e La classe operaia va in Paradiso di Elio Petri. Anche allora i temi preferiti del nostro cinema riguardavano l’attualità, il malessere sociale, le trame misteriose del potere, le zone d’ombra della politica, le lotte sociali. Che riportano in ballo gli stessi argomenti trattati da Gomorra e da Il Divo con un cinema che si fa interprete dei segni del tempo e specchio della società che lo esprime. Alla vigilia dell’assegna – zione dei premi si diceva che Sean Penn non conoscesse il cinema italiano e che la sua stessa formazione fosse parecchio lontana da quello europeo in generale. Preoccupazione del tutto infondata, perché l’attore-regista americano (non dimentichiamo che alla sua sensibilità si deve un film di notevole spessore come Into the Wild) ha dimostrato una particolare attenzione nei confronti del prodotto europeo, che con il passare dei giorni si è tramutata in manifesta ammirazione. A farne le spese è stato il cinema americano con The Exchange di Clint Eastwood (ricostruzione di un fatto di cronaca risalente al 1928, quando la madre di un bambino rapito non volle riconoscere il proprio figlio nel ragazzo ritrovato dalla polizia), Che di Steven Soderbergh (quattro ore dedicate alla vita di Che Guevara, che hanno fruttato il premio quale miglior attore al protagonista Benicio Del Toro), Synecdoche, New York dell’ex sceneggiatore Charlie Kaufman (storia di un regista di teatro che cerca di portare sulla scena la realtà della vita). Per il cinema francese, ma soprattutto per quello di casa nostra, l’esito della 61a edizione ha avuto il sapore della rivincita, non disgiunto da quello della conferma di un momento felice vissuto al botteghino dai risultati del mercato, con il prodotto nazionale in piena ripresa. E se al trionfo della quantità si aggiungerà anche quello della qualità, tutto di guadagnato. Se poi il cinema si farà sempre più partecipe della vita politica e sociale del Paese assumendosi in pieno la responsabilità di questa partecipazione, ancora meglio.

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