Dumas in Calabria

Come un grande scrittore sa trasformare un viaggio con i suoi disagi, imprevisti e curiosità in narrazione avvincente
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Alexandre Dumas, il maestro del romanzo storico famoso soprattutto per latrilogia dei moschettieri”, ha avuto un rapporto tutto particolare, una vera passione si direbbe, per l’Italia. Con un occhio di riguardo verso il Sud, dove soggiornò in un momento cruciale del nostro Risorgimento: basti pensare al reportage entusiastico scritto al seguito dei Mille, al soggiorno napoletano dove per incarico dello stesso Garibaldi diresse per pochi anni il giornale L’Indipendente e fu addirittura “conservatore dei musei”, alle cittadinanze onorarie ricevute tra ottobre e novembre 1863 dal comune di Cosenza e da altri dodici paesi del Cosentino per l’accesa campagna contro la pena di morte lanciata dalle colonne di quel quotidiano.

Traccia di questo legame privilegiato con il nostro Meridione sono opere storiche e di costume come Il corricolo, I garibaldini, una monumentale Storia dei Borbone in sette volumi; e romanzi come La Sanfelice e Le confessioni di una favorita. Espressamente dedicati alla Calabria sono invece i racconti Mastro Adamo il calabrese, Celestina e Cherubino e Impressioni di un viaggio in Calabria (noto anche come Capitano Arena).

Quest’ultimo titolo la dice lunga sul Dumas gran viaggiatore, curioso di culture diverse, felice raccoglitore di tradizioni e costumi insoliti. Il viaggio in questione fu intrapreso dal vulcanico scrittore nell’autunno del 1835, subito dopo aver visitato la Sicilia, e sotto falso nome a causa del divieto di entrare nel reame. Era accompagnato dal pittore Jadin, dal cane Mylord e dall’attrice Ida Ferrier, poi per breve tempo sua moglie: di lei però egli non fa menzione nelle sue Impressions de voyage, ora edite da Rubbettino col titolo Viaggio in Calabria.

Sorpreso da una improvvisa tempesta che impedì alla “speronara” su cui era imbarcato di proseguire la navigazione verso Nord, lungo le coste campane, Dumas fu costretto a percorrere la Calabria via terra, partendo da Villa San Giovanni: un viaggio abbastanza lungo per l’epoca, svolto in diverse tappe, tra cui Scilla, Pizzo (occasione, questa, per ricostruire gli ultimi giorni trascorsi colà da Gioacchino Murat prima della fucilazione), Maida con la sua frazione di lingua e tradizioni albanesi Vena di Maida, e infine Cosenza.

Durante ogni sosta lo scrittore non manca di annotare sul suo taccuino notizie storiche e fantastiche, racconti gustosi e personaggi singolari (come il provetto danzatore di tarantella Agnolo e il sarto mastro Terenzio che riuscì a mandare a casa del diavolo l’insopportabile consorte Giuditta), senza trascurare l’accenno alla proverbiale ospitalità calabrese e ai paesaggi grandiosi ed aspri dell’interno. A movimentare e rendere più avventuroso il suo itinerario, compiuto per lo più a dorso di mulo, sono le difficoltà naturali, le piogge torrenziali, perfino un terremoto, quello che il 12 ottobre di quello stesso anno 1835 devastò il Cosentino (nel libro è riportata pari pari la drammatica relazione ufficiale fatta da un testimone oculare). A Cosenza, ultima tappa prima di ritrovare nel porto di San Lucido il battello lasciato a Villa San Giovanni, Dumas arrivò pochi giorni dopo quel catastrofico sisma, quando gli atterriti abitanti erano ormai accampati fuori dell’abitato in baracche di fortuna: tra loro il barone Vincenzo Mollo, che pur nel suo stato di terremotato colmò lo scrittore di squisite attenzioni. Dumas stesso sperimentò per alcune notti le scosse di replica, senza però convincersi a lasciare l’ancora in piedi “Locanda del riposo di Alarico” nella quale aveva trovato alloggio col suo seguito.

E a proposito di alloggi: a sentire lo scrittore, pare che le locande calabresi dell’epoca lasciassero molto a desiderare quanto all’igiene al vitto (tra l’altro, lui non sopportava i “macaroni”). Memorabile è la descrizione che egli fa dell’unica locanda di Maida e dell’ostessa: una sordida bettola dove fu giocoforza convivere con una scrofa e i suoi porcellini in mezzo alla sporcizia. Alla fine di questa esperienza traumatica annota: «È impossibile farsi un’idea della notte che passammo. La costituzione più robusta non resisterebbe a tre notti simili. Il giorno ci ritrovò tutti tremanti e sofferenti».

Detto tra noi, se oggi Dumas tornasse in questo antichissimo borgo dell’entroterra rurale catanzarese, dominato dai ruderi di un castello normanno, si ricrederebbe dopo aver assaggiato l’ospitalità e la cucina di Graziella, la cui fama, fuoriuscendo insieme agli effluvi deliziosi dei suoi cibi dal cortile in cui è annidata la piccola ma accogliente locanda da lei gestita, è arrivata ben oltre i nostri confini nazionali attraverso il passaparola dei suoi fortunati scopritori.

A conclusione del soggiorno calabrese, nel congedarsi da Cosenza l’illustre viaggiatore annota: «Può essere che al momento di lasciare la Calabria ci attaccassimo, malgrado tutto ciò che vi abbiamo sofferto, a questi uomini così curiosi da studiare nella loro rudezza primitiva, e a questa terra così pittoresca da vedere nei suoi scompigli eterni. Quel che ne sia, non fu senza un vivo dispiacere che ci allontanavamo da questa buona città ospitale in mezzo ai suoi danni; e due volte, dopo averla perduta di vista, ritornammo sui nostri passi per darle l’ultimo addio».

Non saranno un capolavoro queste Impressions de voyage, ma risultano godibilissime per la fluidità dello stile, l’ironia e la minuziosità con cui il papà dei Tre Moschettieri descrive, così come gli apparvero nell’Ottocento, luoghi a noi familiari; ma anche perché rileva problemi che tuttora affliggono la Calabria: dai disastri ambientali ai i terremoti, agli insufficienti collegamenti dovuti alla sua conformazione geologica.

 

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