Dr. House
Bello non è, simpatico neanche, altruista neppure. Piuttosto è scontroso, misantropo, ruvido, anticonvenzionale, iconoclasta. Malgrado questo, piace. Sembrerebbe un mistero il successo dell’irregolare Dr. House, il medico politicamente scorretto, fenomeno televisivo degli ultimi anni, e che da noi ha fatto la fortuna di Italia uno. Interpretato da Hugh Laurie, Gregory House dirige il reparto di medicina diagnostica di un immaginario ospedale universitario del New Jersey. È un tipo strano che prende a pesci in faccia i pazienti, afferma d’essere diventato medico per curare le malattie, non i malati, dice: Preferiresti un medico che ti tiene la mano mentre muori o che ti ignora mentre guarisci?. Manca del tutto d’uma nità, ma è capace di risolvere anche i casi più disperati, è un infettivologo di grandi capacità diagnostiche che affronta la malattia dei suoi pazienti come una sfida. È uno Sherlock Holmes asociale in camice bianco che risolve ogni caso come un giallo, sorreggendosi al suo inseparabile bastone. Non sta in piedi il dottor House, e nella sua condizione, diventa l’immagine plastica dell’eroe con le ossa rotte, dell’azzoppamento di ogni ideale, dei sogni con le stampelle. Non si marcia insieme verso l’avvenire: al massimo si pensa a sé. E si zoppica. È questo il suo fascino: dr. House è l’icona dei giorni che viviamo. Senza slanci, di salute cagionevole, mezzo drogato, né di destra né di sinistra. Salva i corpi ma non le anime, uno per cui gli altri non ci sono, anche se poi è capace di ridargli la vita. Una contraddizione vivente, il simbolo di un relativismo un po’ nichilista. Intendiamoci. Dr. House non è il modello di chi condivide gli ideali di Città nuova. Anzi, ne è l’esatto opposto. Ma seguirlo aiuta a guardare più da vicino il baratro in cui stiamo sprofondando. Mettendo la voglia di fare subito qualcosa per ridare speranza anche ai piccoli dottor House che abitano alla porta accanto.